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Kapalabhati: cranio lucente e disponibilità

Il normale processo respiratorio implica inspirazione attiva ed espirazione passiva. Kapālabhāti, da annoverarsi tra gli śatkarman, inverte tale processo, richiedendo una espirazione attiva con la quale l’addome viene ritratto in modo deciso ma senza tensioni ed una inspirazione che è un ritorno passivo e spontaneo della parete addominale. Torace, spalle e glutei rimangono totalmente non partecipanti. Non si tratta di una passività meccanica, ma piuttosto della passività di ogni dinamismo intenzionale.

Kapālabhāti, insieme a bhastrika, è considerato l’esercizio più importante di purificazione. Jean Klein lo vedeva come pratica essenziale della disponibilità.
Durante i primi anni, questa espulsione secca dell’aria si pratica con la base della cintura addominale, come se si volesse disegnare un punto su una i, due centimetri sotto l’ombelico […] occorre essere in grado di accompagnare il movimento con la mascella, come una vacca che rumina. […]
Dopo alcuni anni, si innalzerà la localizzazione della cintura addominale verso il diaframma. Questo gigantesco muscolo si svelerà poco a poco, prima centralmente e più tardi lateralmente. L’esercizio si estenderà gradualmente nello spazio […]
Durante kapālabhāti bisogna muovere il diaframma ed esplorarne la sensibilità perché conservi la sua elasticità quali che siano la posizione e la zona compressa. Stirato, torto, tutto lo spessore del muscolo deve diventare vivente. Quando il diaframma è elastico, il corpo è in buona salute e l’energia è equilibrata. Quando è troppo teso o fiacco, è inevitabile una forma di debolezza energetica. La pratica intensa di kapālabhāti irrora il diaframma, elimina la cattiva digestione e favorisce l’assimilazione degli alimenti. […]

da Yoga tantrico. Asana e pranayama del Kashmir di Éric Baret

Come apprendere la pratica? Il suggerimento è di iniziare con tre serie di undici espulsioni, poi tre serie di ventidue, poi tre serie di trentatré, fino a undici volte undici (centoventuno). Poi il ritmo si farà da sé e non sarà più necessario contare.

Kapālabhāti deve essere praticato almeno una ventina di minuti. In seguito, se la vita ce ne dà lo spazio, si imporranno tempi più tradizionali. Il tempo che Jean Klein considerava funzionale per ripulire le scorie di molti dei suoi allievi era di un’ora e mezza. […] Praticato tutti i giorni per mezz’ora, kapālabhāti ha un effetto psicologico profondo. Non ce se ne accorge per forza subito, ma calma la psiche, il sonno si riduce. […] Vero detergente di vecchie memorie, kapālabhāti elimina le scorie del passato senza richiedere la loro riattivazione psichica.

da Yoga tantrico. Asana e pranayama del Kashmir di Éric Baret

Gli aspetti tecnici essenziali della pratica sono:

  • lo scioglimento definito della cintura addominale
  • la vacuità della bocca, con la lingua deposta sugli incisivi inferiori
  • la distensione della mascella
  • il movimento di espulsione dell’aria secco, libero d’intenzione e di volume

L’ordine degli elementi cui dare priorità sarà il seguente:

  • la secchezza e la precisione (durante i primi anni)
  • la potenza (in seguito)
  • la rapidità (due espulsioni al secondo), sempre conservando la leggerezza, finezza e potenza

Occorre la stessa potenza per la prima espulsione e per l’ultima. […] Non c’è cedimento del ritmo. Non bisogna mai spingersi al massimo […] Poiché non si raggiunge mai il proprio limite, esso si estende. […] Un’espirazione insistita deprime il cuore, una respirazione fluente lo rinforza; un’inspirazione troppo tonica, intenzionale, scuote il sistema nervoso, un’inspirazione organica, costante, fluente, lo equilibra. Tutto quel che oltrepassa un limite è eccesso. Ci si posa sul ritmo. Si pigia un bottone e c’è un inizio, si pigia di nuovo, c’è un arresto, non c’è niente da fare. Restare tranquilli.

da Yoga tantrico. Asana e pranayama del Kashmir di Éric Baret

In seguito si potrà anche esplorare la pratica di kapālabhāti a narici alternate e la sua esecuzione durante le posture (asana) classiche: pinze in avanti, posizioni all’indietro, torsioni, allungamenti e posizioni capovolte.

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Letture e spunti Maestri Storie, racconti e poesie

Dispiegare le ali e prendere il volo

Eccoci: donne e uomini con un corpo strettamente connesso alla terra, con membra pesanti che ci ancorano al suolo. Ed è forse anche per questo che siamo affascinati dall’idea del volo.

È significativo che Viṣṇu dorma su un serpente e cavalchi un’aquila [Garuḍa, n.d.r.]. I serpenti e le aquile sono infatti nemici nati; il serpente mangia le uova dell’aquila, e l’aquila caccia il serpente. Tuttavia, Viṣṇu convive sia con il predatore sia con la preda, ed è per questo che è il custode. Conosce il valore del serpente e dell’aquila e non preferisce l’uno all’altro, perché sa che ognuno di essi svolge un ruolo importante nel cosmo. Garuḍa evoca la visione a volo d’uccello, lo sguardo strategico dell’umanità, invece il serpente incarna la visione rasoterra, tattica, degli esseri umani. Così, Viṣṇu ha sia una visione ampia sia una visione focalizzata del mondo, il che fa di lui il grande osservatore e custode di tutte le cose.

Da Yoga e mito di Devdutt Pattanaik

Ma quando viene a mancare il terreno sotto i piedi, allora imparare a volare diventa un’esigenza, una via d’uscita.

PC: Lo spirito è tutto.

TS: Cosa vuoi dire?

PC: Credo che un altro modo per dirlo sia che l’attitudine è tutto. […] È vedere il bicchiere mezzo pieno. E in ciò che accade c’è sempre un potenziale per crescere.
Questo non significa sentirsi bene o male, ma andare oltre queste etichette di bene e male. Puoi sperimentare la tua vera natura come vasta, aperta, nuova, spassionata e non presa da queste etichette che mettiamo sulle cose.
Nel processo di invecchiamento lo spirito è tutto. Guardare alle cose come positive, guardare avanti – proviamo a usare la parola avanti invece di positivo, perché ciò include qualsiasi cosa possa accadere. Invece di andare indietro cercando di trovare queste piccole isole di sicurezza che continuano a venir meno, impari invece a volare o a fluttuare e a stare bene nel senza forma, senza terreno sotto i piedi, nell’aperta indeterminatezza delle cose, che è ciò che sei sempre stata.
Non sai mai cosa stia per accadere, e passando da un momento all’altro non sai mai chi sei. Tutto accade piano piano. Vedi, per me, a questo punto, è semplicemente elettrizzante come tutto continui ad accadere. Persino la noia accade.”

Da Fallisci, fallisci ancora, fallisci meglio di Pema Chödrön

E chi più dei poeti può insegnarci a librarci in alto, ad adottare prospettive inattese ed ardite?

E poi la vita ci insegna che bisogna sempre volare in alto. Più in alto dell’invidia, più del dolore, della cattiveria… Più in alto delle lacrime, dei giudizi. Bisogna sempre volare in alto, dove certe parole non possono offenderci, dove certi gesti non possono ferirci, dove certe persone non potranno arrivare mai.

Alda Merini

Ho bisogno di alleggerire le spalle, perché è da troppo tempo
che sono cariche di pesi che non ho voluto e non ho chiesto.
E poi sotto ci sono le mie ali. Ci sono io, che ho bisogno di volare.

Alda Merini

Gabbiani

Non so dove i gabbiani
abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua
ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi
amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

Vincenzo Cardarelli

Piegare le ali
distendere le ali
sprimacciarsi
becchettare
buttarsi all’aria
posarsi
mettere il capo sotto l’ala
abbandonarsi
al governo del vento
contrastare l’ora del buio
con stracci di voce
nell’aria blu.
Farsi un nido
ramo su ramo
filo per filo
abbandonarlo
migrare
tornare
fissare un punto in aria
chinare il capo
aprire il becco
aspirare
il cielo
disobbedire agli angeli
e agli astronauti
farsi terra e polvere
giú giú
restituirsi
a vermi erba e assenza
di gravità:
leggero leggerissimo
chi cade.

Da Fatti vivo di Chandra Livia Candiani

Ed in fondo ogni ricercatore auspica di poter assistere al misterioso ed ipnotico volo d’uccelli in grado di aprire le porte della comprensione profonda, del Sé libero dallo spazio e dal tempo.

Un mutamento improvviso accadde una sera sul lungomare di Bombay. Stavo guardando gli uccelli volare, senza formulare un pensiero o un’interpretazione, quando fui completamente preso da essi e avvertii che ogni cosa stava accadendo dentro di me. In quel momento conobbi me stesso consapevolmente. La mattina successiva seppi, di fronte alla molteplicità della vita quotidiana, che «essere comprensione» si era determinato. L’auto-immagine si era totalmente dissolta, e libero dal conflitto e dall’interferenza dell’immagine dell’io, tutto ciò che accadeva apparteneva all’essere consapevolezza, alla totalità. La vita scorreva senza essere attraversata dalle correnti dell’ego. La memoria psicologica, il piacere e il dispiacere, l’attrazione e la repulsione, erano svaniti. La presenza costante, che chiamiamo il Sé, era libera da ripetizione, memoria, giudizio, comparazione e valutazione. Il centro del mio essere era stato proiettato spontaneamente fuori dal tempo e dallo spazio in una calma senza tempo. In questo non-stato dell’essere la separazione tra «tu» e «io» svaniva completamente. Nulla appariva fuori. Ogni cosa faceva parte di me, ma io non ero in essa. C’era soltanto l’unità.

Conobbi me stesso nell’accadimento presente, non come un concetto, ma come un essere senza localizzazioni nel tempo e nello spazio. In questo non-stato c’era libertà, piena gioia senza oggetto. C’era puro ringraziamento, senza un oggetto di cui ringraziare.

Non era un sentimento affettivo, ma una libertà da ogni affettività, una freddezza prossima al calore.

Da La naturalezza dell’essere di Jean Klein
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Letture e spunti Maestri

Contenitore, contenuto (2)

Riconsideriamo due termini: contenitore – contenuto. Nessuna forma di razionalizzazione. E come un sasso lanciato in un lago lascia la superficie appena increspata per qualche momento, le parole cadono, sprofondano, si inabissano.

E’ il momento di prendere contatto con il corpo e con il respiro. Per sperimentare la stretta connessione tra i due e verificare quanto la direzione degli occhi condizioni azioni e pensieri, dirigiamo lo sguardo all’addome prima, al torace poi. Non impieghiamo molto a scoprire che il respiro si è spontaneamente installato là dove la vista si è orientata. Seduti a terra con le gambe distese ci lasciamo accarezzare da un’onda lieve, che risale dai piedi al bacino durante l’inspiro e scende dal bacino ai piedi durante l’espiro… Lo sguardo segue questo andirivieni… L’onda viene, l’onda va… L’inspiro sale, l’espiro scende…

E poi viene il momento di incontrare una delle molte voci della saggezza senza tempo:

“[…] Il cervello è un oggetto percepito come sono percepite le orecchie. E’ una sensazione come si può sentire la mano. Quando esplorate la sensazione delle vostre mani, accedete a differenti livelli di sensazioni. E’ lo stesso con il cervello. 

Il cervello è in un certo modo dipendente dagli altri organi, in particolare dagli occhi. Quando guardiamo le cose con lo scopo di scegliere, come facciamo di solito, questo lede il cervello. I nervi ottici sono molto vicini al cervello; così, quando gli occhi sono sotto tensione, anche il cervello lo è. Lasciar andare le tensioni negli occhi e nel cervello è una scienza che si deve imparare. Il lasciar-andare vi porta ad uno stato di disponibilità. Siete pronti, disponibili, innocenti in uno stato di accoglienza. 

[…] Sentendo il cervello, sentiamo prima il suo peso. Allora, perde ogni sostanza, e abbiamo la sensazione come se non ci fosse più la tesa. La testa è completamente in espansione e scompare. Quando la testa è veramente sentita, la maggior parte degli organi è completamente rilassata, specie gli occhi, che sono sempre in procinto di scegliere e di cercare sicurezza. 

Se non potete sentire il cervello subito, cominciate con gli occhi. Sentite la loro cavità e seguite il nervo ottico penetrare il cervello. Quando il cervello sarà rilassato,si avrà una sensazione di spazio attorno a lui. Fatene un oggetto della vostra coscienza e vi dissolverete nello spazio. Alla fine c’è una fusione tra l’osservatore e ciò che è osservato e non c’è che presenza.” – Jean Klein, Sentire il cervello

Giunge il momento di esercitare la propria attitudine ad un atteggiamento meditativo.

Seguendo gli insegnamenti di Eric Baret, torniamo al corpo, diventando attenti alla sensazione degli occhi, al loro peso. Questa volta li lasciamo sprofondare verso l’interno, precipitare lungo un pozzo in direzione del cuore. L’evocazione di paesaggi pregni di colore fornisce lo spunto per lasciarci invadere, attraverso la cavità delle orbite, dal rosso, dal blu, dal verde dal giallo e dal bianco. Quando il corpo intero ha sperimentato il colore, c’è ancora margine per sperimentare quella che è la sensazione del colore… Poi tutto si fa trasparenza pura.

Contenitore, contenuto…

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Letture e spunti Maestri

Contenitore, contenuto (1)

Consideriamo due termini: contenitore – contenuto. Nessuna forma di razionalizzazione. E come un sasso lanciato in un lago lascia la superficie appena increspata per qualche momento, le parole cadono, sprofondano, si inabissano.

E’ il momento di prendere contatto con il corpo, di riconoscerlo in tutta la sua pienezza, di lasciarlo deporre, crollare come crollerebbe un castello di di sabbia. Una voce accompagna quieta verso questo intimo incontro affinché possa realizzarsi uno stato di silente e pacifica resa.

E’ tempo di ascoltare il silenzio.

E poi viene il momento di incontrare una delle molte voci della saggezza senza tempo:

“Quando i muscoli sono sentiti, sono liberi da tutti i condizionamenti, perché la sensazione libera le tensioni e le reazioni. I muscoli sono ricondotti al loro stato naturale. Potete sentire il cervello nello stesso modo, anche se questo è ignorato in neurologia. Quando il cervello è sentito, si distende completamente e tutte le sue vibrazioni rallentano. Quando il cervello è profondamente disteso, non c’è più localizzazione; così non ci può essere concettualizzazione. Non potete più pensare, perché pensare è una localizzazione, principalmente situata nella regione frontale. Così non è necessario difenderci dal pensare, ma semplicemente arrivare allo stato assoluto di rilassamento del cervello. 

Le funzioni e le attività appartengono alla mente e la mente funziona nello spazio-tempo. Nel rilassamento profondo, siete liberi dal pensiero e allora siete liberi dallo spazio e dal tempo che non sono che dei pensieri. Quando siete liberi dallo spazio e dal tempo, non c’è che una costante presenza che non può essere trovata, descritta o localizzata. 

[…] è una presenza costante, dove nessuno, niente, è presente. E’ pericoloso esprimerlo anche poeticamente, ma l’espressione più appropriata per me è che è una costante corrente d’amore. Quando il cervello è veramente sentito, siamo distolti dalle fissazioni, dalle localizzazioni nel cervello. Abbiamo l’impressione di essere in espansione nel nostro corpo. Questa sensazione d’ espansione è l’inizio della meditazione. La meditazione non è che l’atto di rilassare il cervello che fa sempre qualcosa. Esattamente come possiamo liberare i muscoli dai condizionamenti, dai residui del passato, allo stesso modo possiamo liberare il cervello dalle funzioni e dalle attività. 

[…] Ci sono numerosi “trucchi” per fermare il pensiero, ma creano solamente una fissazione su qualche oggetto sottile, mentre la meditazione è completamente senza oggetto. La meditazione non comincia con la ricerca di uno stato. Questo non-stato è la corrente, la presenza che non è toccata dal funzionamento mentale. E’ solo l’ignoranza che attribuisce questa presenza, questa gioia, all’assenza d’oggetto. Se restate convinti che la tranquillità si trova nell’assenza d’oggetto, non diventerete mai liberi dalla dualità. La presenza è al di là della presenza o dell’assenza d’oggetto, al di là della mente, al di là del cervello. Tutto questo appare e scompare nella presenza senza limite che non è oggetto. 

Quando sentite il cervello come sentite i vostri muscoli, non è con l’intenzione d’interferire con il funzionamento del cervello: è molto semplicemente la sensazione, sentire il cervello senza cercare risultato. E’ uno sguardo innocente che libera il cervello dal cervello. Questo vi porta a essere libero dal meditante, da chi agisce e che non è altro che una costruzione mentale. 

[…] La maggior parte delle tecniche, di cui molti sono pratici in certi monasteri, mettono l’accento sull’arresto della funzione del cervello. Possiamo allora essere liberi dai contenuti del cervello, ma i contenuti non sono il problema. La vera finalità non è di esplorare i contenuti, ma il contenitore. Il contenitore non è l’assenza del contenuto, come il gusto della bocca stessa non è l’assenza di altri gusti. 

[…] il cervello funziona quando c’è bisogno di funzionare. Se è chiamato a pensare, pensa. Quando non c’è niente da pensare, non c’è nessun ruolo da assumere. Il cervello è un organo come un altro. Nello stato di distensione, il cervello è vuoto, ma voi siete talmente abituati ad avere un oggetto nella vostra mente che speso ignorate il vuoto della mente. 

[…] Generalmente conosciamo solo la coscienza come un oggetto, essere coscienti di qualcosa, anche se è la coscienza della tranquillità, della pace e così via. Sono ancora oggetti, stati, che vi mantengono nella cornice della dualità. La coscienza senza oggetto vi è sconosciuta; tuttavia è ciò che vi è più vicino, la vostra vera natura, ciò che siete. Questa presenza non può essere sperimentata come gioiosa o senza gioia. E’ senza nessuna qualità. Semplicemente è.” – Jean Klein, Sentire il cervello

Giunge il momento di esercitare la propria attitudine ad un atteggiamento meditativo.

Seguendo gli insegnamenti di Eric Baret, torniamo al corpo, diventando attenti alla sensazione degli occhi, al loro peso, al senso di compressione che vi alberga. E poi lasciamo che i globi oculari, come due biglie di piombo, colino davanti alle orbite, richiamati dalla gravità verso il suolo. Sentiamoli appesi, come si vede in certi dipinti tantrici del buddismo tibetano, coscienti delle orbite vuote, spaziose, profonde come immense caverne. 

Contenitore, contenuto…

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Prendere, lasciare

Consideriamo due opposti: prendere – lasciare. Nessuna forma di razionalizzazione. E come un sasso lanciato in un lago lascia la superficie appena increspata per qualche momento, le parole cadono, sprofondano, si inabissano.

E’ il momento di prendere contatto con il corpo, di riconoscerlo in tutta la sua pienezza, di lasciarlo deporre. Una voce accompagna quieta verso questo intimo incontro affinché possa realizzarsi uno stato di silente e pacifica resa.

E’ tempo di ascoltare il silenzio.

E poi viene il momento di incontrare una delle molte voci della saggezza senza tempo:

“La Via è vuota e leggera, liscia e imparziale, chiara e calma, flessibile e docile, limpida e pura, piana e semplice. 

Il vuoto è la dimora della Via. L’imparzialità è l’essenza della Via. La chiara calma è lo specchio della Via. La flessibilità è la funzione della Via. Il capovolgimento è la norma della Via; la cedevolezza è la fermezza della Via, la docilità è la forza della Via. La limpida purezza e la piana semplicità sono il tronco della Via.

L’imparzialità significa che la mente è priva di pastoie. Quando i desideri abituali non pesano su di te, questa è la realizzazione del vuoto. Quando non hai né preferenze né avversioni, questa è la realizzazione dell’imparzialità. Quando sei unificato e immutabile, questa è la realizzazione della calma. Quando non sei coinvolto nelle cose, questa è la realizzazione della purezza. Quando non provi né dolore né piacere, questa è la realizzazione della virtù.
Il governo degli uomini completi rifiuta ogni astuzia. Limita ciò che prende e minimizza ciò che perde. Elimina la brama delle cose preziose e diminuisce le elucubrazioni.
Limitare ciò che si prende determina chiarezza; minimizzare ciò che si perde determina concentrazione. 

Attenendosi al centro, gli organi interni sono calmi, i pensieri sono limpidi, i tendini e le ossa sono forti, le orecchie e gli occhi sono sensibili.
La Grande Via è piana e non è lontana. Coloro che la cercano lontano, prima vanno e poi tornano.

Nutri sempre un imparziale amore universale e non lasciarlo venire meno. Questa è la virtù dell’umanità.

Non indulgere ai tuoi capricci quando hai successo, e non perdere la calma quando sei in difficoltà. Segui la ragione con coerenza, senza piegarla ai tuoi desideri. Questa è la giustizia.

In una posizione superiore, sii rispettoso ma autorevole; in una posizione subordinata, sii umile ma serio. Sii deferente e cedevole, agisci alla maniera femminile. Conserva la tua posizione senza essere presuntuoso, sii condiscendente senza spadroneggiare. Questa è la cortesia.

Ciò che dà vita agli uomini è la Via, ciò che li matura è la virtù, ciò che li fa amare è l’umanità, ciò che li fa retti è la giustizia, ciò che li fa seri è la cortesia.

Il principio fondamentale dell’ascolto è svuotare la mente in modo che sia chiara e calma: metti da parte ogni sensazione, ogni pensiero, ogni riflessione. Concentra la vitalità della mente in modo che si accumuli e che l’attenzione interiore sia al suo massimo. Ottenuto tutto ciò, devi stabilizzarlo e conservarlo, devi estenderlo e perpetuarlo.

Gli uomini hanno atteggiamenti, aromoniosi o ribelli, che dipendono dalla mente. Quando la mente è disciplinata, l’atteggiamento è armonioso; quando la mente è indisciplinata, l’atteggiamento è ribelle.
Se realizzi la Via, allora la mente è disciplinata; se perdi la Via, allora la mente è indisciplinata.
Quando la mente è disciplinata, le relazioni sociali sono pacifiche. Quando la mente è indisciplinata, le relazioni sociali sono conflittuali.
La Via della Natura è come un’eco che risponde ad un suono; quando la virtù si accumula, allora sorge la fortuna; quando si accumulano i vizi, allora sorgono le contese.
Se sei attento sia alla fine che al principio, niente ti andrà male.

La Via consiste nel seguire la propria strada e nell’attendere l’indicazione del destino.
Quando la mente interiore è calma e quieta, i suoi poteri sono immensi.
Se non ci si spaventa per ogni cane che abbaia, si è fiduciosi nella giustezza della propria condizione e niente  fuori posto.
Anche se si ha un intelletto brillante, esso deve ritornare allo spirito: questo è il grande potere.” (Wen-tzu, antico testo taoista del II secolo a.C.)

E poi giunge il momento di esercitare la propria attitudine ad un atteggiamento meditativo.

Torniamo al corpo per scoprire come siamo sempre in una modalità di appropriazione, di mani pronte ad afferrare, di mandibole serrate, di piedi arpionati al suolo. E facciamo di contro l’esperienza di lasciare andare. Sulla scia degli insegnamenti di Jean Klein evochiamo sotto i palmi delle mani e le piante dei piedi grandi palloni in dilatazione… consentiamo ad un succoso frutto maturo di crescere nella nostra bocca… sentiamo il riverbero di queste sensazioni tattili investire le orecchie, le spalle, il dorso…

Prendere, lasciare…