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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 10 – Śloka 33

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La decima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci invita a una pratica di dissoluzione progressiva della mente. Il processo citato ci connette direttamente al verso precedente (Śloka 32), dove viene descritto un metodo graduale di meditazione e dissoluzione (laya-yoga) che, passando da un campo sensoriale all’altro, implica un lasciar andare e un ricevere. La mente pensante, normalmente agitata e dispersa, trova negli oggetti di concentrazione — uno spazio vuoto, un muro bianco, o un vaso ben formato — un substrato su cui dissolversi spontaneamente. In questo stato di dissoluzione (svayam līnā), l’esperienza dello stato di Bhairava emerge come il dono supremo.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

33. In base ad un simile processo [cioè, di grado in grado], la meditazione, qualunque ne sia il supporto – il vuoto, un muro, il vaso supremo (pātra) -, dissoltasi di per se stessa (svayamlīnā), conferisce il sommo bene.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

Il tema lī- (ed il sostantivo laya), ricorrente in molte stanze di quest’opera, è usato nel senso di «dissolver-si», «assorbirsi», «riposarsi» nella suprema realtà (si veda, sopra, l’Introduzione, p. 17).
Il «vaso supremo» è probabilmente il vaso sacrificale, che in molti riti è contemplato in identità con la coscienza. Śivopādhyāya interpreta diversamente, e per «vaso (o recipiente) supremo» intende un discepolo, ecc., la cui mente sia priva d’ogni macchia.

33. Allo stesso modo, se si concentra la propria consapevolezza su qualcosa, che sia uno spazio vuoto, un muro, o un discepolo meritevole, questa (energia della concentrazione) si dissolverà da sola e conferirà grazia.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Adottando questo metodo […] ogni volta che ti concentri su questa consapevolezza o pensiero focalizzato, puoi fissarla sul vuoto, su un muro, o sulla coscienza del tuo discepolo preferito. L’Energia del Signore Śiva si rivela lì e allora. Questa energia, rivelata nel vuoto che è stato oggetto della pratica, è dispensatrice di doni. […] Puoi concentrare questa focalizzazione unica sul vuoto del cielo, o su un muro, o sul cuore di un discepolo.

33. In questo modo, successivamente1, ovunque ci sia consapevolezza sul vuoto, su un muro, o su alcune persone eccellenti2, quella consapevolezza si assorbe nel Supremo e offre il più alto beneficio3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Proprio come vi è concentrazione in passaggi successivi su mūlādhārajanmakandanābhihṛdayakaṇṭhatālubhrūmadhyalalāṭabrahmarandhraśakti e vyāpinī nel proprio corpo, così si può praticare la concentrazione in passaggi successivi anche fuori dal corpo, ad esempio su un vasto spazio vuoto o su un alto muro.
2. Pare pātre: qui pātra significa persona adatta o competente; pare pātre significa su una persona eccellente e competente, ad esempio su un discepolo puro di mente.
3. La più alta esperienza spirituale è qui indicata come il massimo beneficio.
La dhāraṇā sopra riportata inizia con āṇava upāya e infine si dissolve nello śāktopāya.

Con questo stesso processo, in qualunque [substrato] la mente pensante si dissolva spontaneamente, che sia uno spazio [interiore], un muro [vuoto] o un vaso dalla forma perfetta, tale dissoluzione conferisce il dono [dello stato di Bhairava].

Christopher D. Wallis

Un aspetto cruciale dell’interpretazione riguarda il termine para pātra. Esso può essere inteso letteralmente come “vaso perfetto” o metaforicamente come “una persona degna” o “un discepolo dal cuore puro”. I commentatori tradizionali tendono a interpretarlo in senso metaforico, vedendo nel testo un manuale per il guru. Tuttavia, un’interpretazione letterale — riferita a un recipiente fisico — sembra altrettanto valida e ci riporta a pratiche simili a quelle dello Zen, dove si medita su oggetti semplici e concreti, come una ciotola vuota.

Un’altra chiave interpretativa è offerta dal commentatore che associa questa pratica alla meditazione sui 12 cakra, descritti nei versi precedenti (Śloka 28 e seguenti). I cakra sono intesi come spazi aperti nel corpo, ma qui il commentatore suggerisce che si possa meditare anche sui cakra di un’altra persona, come il proprio guru o un discepolo degno (para pātra). Questo implica una pratica relazionale, in cui la connessione tra maestro e discepolo diventa il substrato della meditazione.

Che si tratti di uno spazio vuoto, un muro o un recipiente ben formato, il processo è sempre lo stesso: lasciar andare, ricevere, e permettere alla mente di dissolversi spontaneamente. In questo abbandono, si manifesta lo stato di Bhairava, il dono supremo della consapevolezza illuminata.

La semplicità di questa pratica è il suo potere. Non servono tecniche complicate o supporti esterni come mantra o controllo del respiro. Tutto ciò che è richiesto è un’intenzione focalizzata e un completo abbandono al processo, permettendo alla mente di fondersi con il Supremo.

Questo verso, pur radicato nella tradizione tantrica, risuona con pratiche contemplative di altre tradizioni, come lo Zen, dimostrando l’universalità dell’esperienza meditativa. Il Vijñāna-bhairava Tantra ci ricorda che il divino è ovunque: in uno spazio vuoto, in un muro bianco, o in un semplice vaso.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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