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L’indecidibilità e gli opposti

Il pensiero categorizza diversi tipi di opposizione: il contrario, che nega il termine dato e si colloca all’estremo opposto di una gradazione interna al genere (bianco/nero, giusto/sbagliato, ecc.) ed il contraddittorio, che nega il termine dato e rimanda a tutto ciò che quel termine non è, sia all’interno che all’esterno del genere di cui si tratta (bianco/non bianco, giusto/non giusto, ecc.).

“L’approccio sensoriale ha una parte importante perché l’accento è messo sul sentito profondo piuttosto che sul pensiero. Molte scuole mettono l’accento sul pensiero. L’approccio dello śivaismo del Kaśmīr mette l’accento sul sentire profondo perché questo è globale, mentre il pensiero è frammentato. Non si può pensare al bianco senza pensare al nero, non si può pensare alla collera senza pensare alla tranquillità. Si pensa sempre in maniera duale, mentre si può avere una sensazione globale al di là degli opposti. È per questo che, di tutti i sensi esplorati, è sul sentito profondo che si mette di più l’accento. Il sentire profondo non è il sentire. Il sentire è un senso come un altro, ma il sentito arriva a essere il sentito profondo, che è totalmente globale. […] 
Il sentito profondo è laddove culminano i sensi. L’occhio vede, la pelle sente, l’orecchio intende, le narici odorano, ecc. Tutto questo è sormontato da ciò che si chiama il sentito profondo. Posso perdere la vista, non vedo più, ma sento profondamente; posso avere la pelle bruciata, non sento più, ma sento profondamente; posso strapparmi la lingua, non gusto più, ma sento profondamente, ecc.è un senso inerente al corpo che non può essere toccato dagli avvenimenti che invece toccano i cinque sensi. Questo sentito profondo globale è l’apertura verso la sensazione dell’energia. Questo sentito profondo ci fa osservare la pesantezza, la gravità, che in seguito ci fa sentire la leggerezza, l’espansione del corpo, la quale si trasforma in vibrazione dell’energia. È la porta diretta alla tranquillità. […] Non si cerca di manipolare l’energia come nello yoga classico. Non si cerca di risvegliare alcunché, ma si lascia che il corpo ritorni al suo stato naturale di energia. È un lavoro totalmente passivo.”

Passi da Éric Baret 250 Domande sullo Yoga a cura di Marie-Claire Reigner

Il linguaggio verbale è strumento potentissimo e sublime, ma al contempo pone limiti e confini anche laddove la sostanza è illimitata e vasta.

“Il senso dell’unione col ‘Tutto’ non è però uno stato mentale nebuloso, una specie di trance in cui sia abolita ogni forma e distinzione, quasi che l’uomo e l’universo siano fusi in una bruma luminosa di pallido malva. Così come processo e forma, energia e materia, io stesso ed esperienza sono altrettanti modi di designare e guardare la stessa cosa, uno e molti, unità e molteplicità, identità e differenza non sono opposti che si escludono a vicenda: ciascuno è anche l’altro, come il corpo è l’insieme dei suoi organi. Scoprire che i molti sono l’uno e che l’uno è i molti significa rendersi conto che sono entrambi parole e suoni che rappresentano quanto è chiarissimo ai sensi e ai sentimenti, ma al tempo stesso è un enigma per la logica e la descrizione.”

Passi da La Saggezza del Dubbio di Watts W. Alan

C’è una forza in grado di conciliare gli opposti, integrarli. Ma, affinché tale forza possa agire, occorre non temere le dicotomie che la vita ci propone come esperienza, non rifuggere ciò che la società, la cultura di appartenenza o noi stessi etichettiamo come ”negativo”. E se anche a quella forza abbiamo bisogno di dare un nome, potrebbe trattarsi della parola ”Amore”.

“Finché si è motivati a divenire qualcosa, finché la psiche crede nella possibilità di sfuggire a ciò che essa è in questo istante, non può esserci libertà. Perseguiremo la virtù esattamente per lo stesso motivo per il quale perseguiremo il vizio, e bene e male si alterneranno come i poli opposti dello stesso cerchio. Il ‘santo’ che sembra aver soggiogato il proprio egoismo con la violenza spirituale lo ha solo nascosto. Il suo successo apparente convince gli altri che egli ha trovato la ‘vera via’ ed essi ne seguono l’esempio abbastanza a lungo perché la loro linea di condotta oscilli verso il polo opposto, quando la licenza diverrà l’inevitabile reazione al puritanesimo.
Certo, sembra il più abietto fatalismo dover ammettere che io sono ciò che sono, e che non vi può essere né via di scampo né divisione. Sembra che sia io ad aver timore, quindi a essere ‘bloccato’ dalla paura. Di fatto però sono incatenato alla paura solo fino a quando cerco di liberarmene. Se invece non cerco di liberarmene, scopro che nella realtà del momento non c’è niente di ‘bloccato’ o fisso. Quando acquisto la consapevolezza di questo sentimento senza dargli un nome, senza chiamarlo ‘paura’, ‘cattivo’, ‘negativo’, ecc., esso si trasforma istantaneamente in qualcos’altro e la vita avanza liberamente. Il sentimento non si perpetua più creando dietro di sé il senziente.
Ora riusciamo forse a vedere perché la psiche indivisa non sia spinta verso queste vie di scampo dal presente che di solito sono chiamate il ‘male’. L’ulteriore verità che la psiche indivisa è consapevole dell’esperienza come unità, del mondo come se stessa, e che l’intera natura della psiche e della consapevolezza è d’essere tutt’uno con quanto essa conosce, fa pensare a uno stato che di solito verrebbe chiamato amore. L’amore che si esprime in azione creativa è in effetti qualcosa di assai di più che un’emozione. Non è qualcosa che tu possa ‘sentire’ e ‘sapere’, ricordare e definire. L’amore è il principio organizzatore e unificatore che fa del mondo un universo e della massa disintegrata una comunità. È l’essenza stessa, il carattere stesso della psiche e si manifesta nell’azione quando la psiche è integra.”

Passi da La Saggezza del Dubbio di Watts W. Alan

L’esperienza vivificante di essere, al di là degli opposti, riconduce al fascino del mistero, laddove rinunciamo a qualsiasi forma di catalogazione e ci immergiamo nell’Assoluto senza forma.

La cultura occidentale divide i mondi tra finito e infinito, attribuendo al finito un carattere opaco e muto e all’infinito la trasparenza e il senso. Ma io, e forse tutti i bambini solitari, prediligevo il muto e vedevo attraverso l’opaco. Era la vita nuda e cruda, i fenomeni, che mi davano il senso piú alto del mistero; la trasparenza era guardare con simpatia nell’opaco. Giocare a nascondino era scoprire il mondo senza di me. Osservare gli animali era conoscere la natura del vivente e l’affidamento a qualcosa che ci sorpassa.
Nascosti da soli in un fitto di alberi siamo trasparenti eppure accolti, siamo un insieme privo di somiglianze e di peculiarità, vivi e basta.

Passi da Questo immenso non sapere di Chandra Candiani
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Vijñānabhairava Tantra

Il Vijñānabhairava Tantra è un testo tantrico non dualista (Āgama) fondamentale nella scuola Trika presso lo Śivaismo del Kashmir. Maestri di questa tradizione come Somānanda, Abhinavagupta e Ksemarāja lo hanno tenuto in massima considerazione.

Come suggerisce il nome, questo testo appartiene al gruppo di Āgama chiamato Bhairavatantra, laddove Bhairava “il Terribile” è la manifestazione irosa di Śiva “il Tranquillo”.

Il titolo del testo è stato variamente tradotto come “La conoscenza (mistica) della Realtà Ultima”, ma anche “la conoscenza del Tremendo” e “tantra della conoscenza suprema”. Vijñāna implica qui la conoscenza esperienziale, pura coscienza, consapevolezza, piuttosto che conoscenza analitica. Bhairava è il nome dato all’Assoluto, alla Realtà Ultima, in questa tradizione.

Il nome Bhairava si deve a questo, che

a) Egli porta il tutto ed è da esso portato, empiendolo e sorreggendolo da un lato e parlandolo, cioè pensandolo, dall’altro; che

b) protegge coloro che hanno paura della trasmigrazione; che

c) nasce nel cuore dal grido d’aiuto, dal cogitare generato dalla paura della trasmigrazione; che

d) suscita, per mezzo di una caduta di potenza, l’idea della paura della trasmigrazione; che

e) riluce in coloro la cui mente è tutta intesa alla concentrazione (chiamata) “divorazione del tempo”, in coloro cioè che provocano l’esaurimento dell’essenza del tempo, il motore delle costellazioni; che

f) è il signore delle potenze che presiedono agli organi di senso, il cui grido spaventa le anime decadute, le quali si trovano in stato di contrazione, e della schiera quadruplice delle Eterovaghe, ecc. che risiedono interiormente ed esteriormente; che

g) è il Signore che pone termine all’andamento della trasmigrazione e perciò è grandemente terrifico.

Tali i significati, convenienti invero alla sua natura, menzionati dai maestri nelle loro scritture a proposito del nome Bhairava.

Tantrāloka di Abhinavagupta (a cura di Reniero Gnoli) I, 96-100a

Un Āgama śaiva completo consiste normalmente di quattro parti (pāda), destinate rispettivamente al rito (kriyā), alla conoscenza o filosofia (vidyā, jñāna), alla condotta o modo di vita (caryā) e alla pratica spirituale (yoga). Il Vijñānabhairava però si occupa solo dello yoga e lo sfondo filosofico è presupposto ma non spiegato. Il testo è formulato nella modalità del dialogo tra Bhairava e Bhairavī, o Śiva e Śakti. La dea, e con lei ogni ricercatore, chiede la grazia al suo Signore affinché recida i suoi dubbi e le consenta di giungere a realizzare la trascendenza stessa dell’Assoluto.

Devi chiede: “Qual è la tua realtà, mio Signore?. Lui non risponderà, al contrario offrirà una tecnica, e se Devi la sperimenterà a fondo, saprà. La risposta è quindi indiretta, non è immediata, Śiva non dirà chi è, ma darà una tecnica: sperimentala e saprai. Per il Tantra fare è sapere, e non esiste altra conoscenza. A meno che tu non faccia qualcosa, a meno che tu non cambi, a meno che non abbia una diversa prospettiva da cui guardare, con cui guardare, a meno che non ti muova in una dimensione completamente diversa dall’intelletto, non c’è alcuna risposta.

Il libro dei segreti, Osho

Il Vijñānabhairava insegna 112 metodi, o dhāranā, di concentrazione e di unione con l’Assoluto, ciascuno dei quali esprime una via abbreviata per raggiungere l’inesprimibile, conforme alla tradizione immediata ed in contrasto con le esigenze di una graduale e complessa purificazione etica propugnata da altre scuole e tradizioni.

È innanzitutto uno yoga dell’azione nel mondo dei sensi. Per il tantrika non c’è più scissione tra vita mistica e vita fenomenica […] L’ascesi non è più allora intesa come un ritiro dal mondo fenomenico che permetterebbe l’accesso a una purezza divina, ma al contrario come un’immersione integrale in ciò che la vita ha di più palpitante. I metodi dello yoga tantrico esposti nel Vijñānabhairava sono quelli che ci permettono di assaporare l’essenza divina delle cose […] Tutto, per il tantrika, è saturo di essenza divina. Niente è da evitare, niente da cercare. Lo yogin gode di una libertà assoluta […] da ogni limitazione concettuale, da ogni dogma, da ogni credenza.

Tantra Yoga, Daniel Odier

Secondo Ksemarāja il Trika è la rivelazione ultima delle diverse scuole tantriche. Trika, o la scuola triadica, implica le tre categorie ultime Śiva (Signore), Śakti (la sua Energia) e Nara (gli esseri creati, o Uomo). Si riferisce anche alle tre Energie di Śiva: la Suprema (parā, trascendente), suprema-non-suprema o trascendente-immanente (parāparā) e l’immanente o non suprema (aparā).

Secondo la manifestazione triadica di Śakti ai tre livelli sopra menzionati (parā, parāparā, aparā) ci sono anche diversi modi e mezzi (upāya) per realizzare Śiva che sono classificati secondo lo schema di Trika come:

  • i mezzi individuali o inferiori (ānava, corrispondenti ad anu e aparā),
  • i mezzi di Energia (śākta, corrispondenti a śakti e parāparā)
  • e il modo divino (śāmbhava, corrispondente a Śiva e parā).

Questi upāya che troviamo sistematizzati da Abhinavagupta nel suo Tantrāloka, possono essere applicati ai diversi metodi di yoga descritti nel Vijñāna Bhairava, anche se non sono esplicitamente menzionati come tali.

Fonti:

  • Vijñānabhairava – La conoscenza del Tremendo, a cura di Attilia Sironi, Piccola Biblioteca Adelphi
  • Vijñāna Bhairava – The Practice of Centring Awareness, Swami Lakshman Joo, Indica
  • La dottrina della vibrazione nello śivaismo tantrico del Kashmir, Mark S.G. Dyczkowski, Adelphi
  • Gli aforismi di Śiva, Vasugupta, a cura di Raffaele Torella
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Contenitore, contenuto (2)

Riconsideriamo due termini: contenitore – contenuto. Nessuna forma di razionalizzazione. E come un sasso lanciato in un lago lascia la superficie appena increspata per qualche momento, le parole cadono, sprofondano, si inabissano.

E’ il momento di prendere contatto con il corpo e con il respiro. Per sperimentare la stretta connessione tra i due e verificare quanto la direzione degli occhi condizioni azioni e pensieri, dirigiamo lo sguardo all’addome prima, al torace poi. Non impieghiamo molto a scoprire che il respiro si è spontaneamente installato là dove la vista si è orientata. Seduti a terra con le gambe distese ci lasciamo accarezzare da un’onda lieve, che risale dai piedi al bacino durante l’inspiro e scende dal bacino ai piedi durante l’espiro… Lo sguardo segue questo andirivieni… L’onda viene, l’onda va… L’inspiro sale, l’espiro scende…

E poi viene il momento di incontrare una delle molte voci della saggezza senza tempo:

“[…] Il cervello è un oggetto percepito come sono percepite le orecchie. E’ una sensazione come si può sentire la mano. Quando esplorate la sensazione delle vostre mani, accedete a differenti livelli di sensazioni. E’ lo stesso con il cervello. 

Il cervello è in un certo modo dipendente dagli altri organi, in particolare dagli occhi. Quando guardiamo le cose con lo scopo di scegliere, come facciamo di solito, questo lede il cervello. I nervi ottici sono molto vicini al cervello; così, quando gli occhi sono sotto tensione, anche il cervello lo è. Lasciar andare le tensioni negli occhi e nel cervello è una scienza che si deve imparare. Il lasciar-andare vi porta ad uno stato di disponibilità. Siete pronti, disponibili, innocenti in uno stato di accoglienza. 

[…] Sentendo il cervello, sentiamo prima il suo peso. Allora, perde ogni sostanza, e abbiamo la sensazione come se non ci fosse più la tesa. La testa è completamente in espansione e scompare. Quando la testa è veramente sentita, la maggior parte degli organi è completamente rilassata, specie gli occhi, che sono sempre in procinto di scegliere e di cercare sicurezza. 

Se non potete sentire il cervello subito, cominciate con gli occhi. Sentite la loro cavità e seguite il nervo ottico penetrare il cervello. Quando il cervello sarà rilassato,si avrà una sensazione di spazio attorno a lui. Fatene un oggetto della vostra coscienza e vi dissolverete nello spazio. Alla fine c’è una fusione tra l’osservatore e ciò che è osservato e non c’è che presenza.” – Jean Klein, Sentire il cervello

Giunge il momento di esercitare la propria attitudine ad un atteggiamento meditativo.

Seguendo gli insegnamenti di Eric Baret, torniamo al corpo, diventando attenti alla sensazione degli occhi, al loro peso. Questa volta li lasciamo sprofondare verso l’interno, precipitare lungo un pozzo in direzione del cuore. L’evocazione di paesaggi pregni di colore fornisce lo spunto per lasciarci invadere, attraverso la cavità delle orbite, dal rosso, dal blu, dal verde dal giallo e dal bianco. Quando il corpo intero ha sperimentato il colore, c’è ancora margine per sperimentare quella che è la sensazione del colore… Poi tutto si fa trasparenza pura.

Contenitore, contenuto…

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Contenitore, contenuto (1)

Consideriamo due termini: contenitore – contenuto. Nessuna forma di razionalizzazione. E come un sasso lanciato in un lago lascia la superficie appena increspata per qualche momento, le parole cadono, sprofondano, si inabissano.

E’ il momento di prendere contatto con il corpo, di riconoscerlo in tutta la sua pienezza, di lasciarlo deporre, crollare come crollerebbe un castello di di sabbia. Una voce accompagna quieta verso questo intimo incontro affinché possa realizzarsi uno stato di silente e pacifica resa.

E’ tempo di ascoltare il silenzio.

E poi viene il momento di incontrare una delle molte voci della saggezza senza tempo:

“Quando i muscoli sono sentiti, sono liberi da tutti i condizionamenti, perché la sensazione libera le tensioni e le reazioni. I muscoli sono ricondotti al loro stato naturale. Potete sentire il cervello nello stesso modo, anche se questo è ignorato in neurologia. Quando il cervello è sentito, si distende completamente e tutte le sue vibrazioni rallentano. Quando il cervello è profondamente disteso, non c’è più localizzazione; così non ci può essere concettualizzazione. Non potete più pensare, perché pensare è una localizzazione, principalmente situata nella regione frontale. Così non è necessario difenderci dal pensare, ma semplicemente arrivare allo stato assoluto di rilassamento del cervello. 

Le funzioni e le attività appartengono alla mente e la mente funziona nello spazio-tempo. Nel rilassamento profondo, siete liberi dal pensiero e allora siete liberi dallo spazio e dal tempo che non sono che dei pensieri. Quando siete liberi dallo spazio e dal tempo, non c’è che una costante presenza che non può essere trovata, descritta o localizzata. 

[…] è una presenza costante, dove nessuno, niente, è presente. E’ pericoloso esprimerlo anche poeticamente, ma l’espressione più appropriata per me è che è una costante corrente d’amore. Quando il cervello è veramente sentito, siamo distolti dalle fissazioni, dalle localizzazioni nel cervello. Abbiamo l’impressione di essere in espansione nel nostro corpo. Questa sensazione d’ espansione è l’inizio della meditazione. La meditazione non è che l’atto di rilassare il cervello che fa sempre qualcosa. Esattamente come possiamo liberare i muscoli dai condizionamenti, dai residui del passato, allo stesso modo possiamo liberare il cervello dalle funzioni e dalle attività. 

[…] Ci sono numerosi “trucchi” per fermare il pensiero, ma creano solamente una fissazione su qualche oggetto sottile, mentre la meditazione è completamente senza oggetto. La meditazione non comincia con la ricerca di uno stato. Questo non-stato è la corrente, la presenza che non è toccata dal funzionamento mentale. E’ solo l’ignoranza che attribuisce questa presenza, questa gioia, all’assenza d’oggetto. Se restate convinti che la tranquillità si trova nell’assenza d’oggetto, non diventerete mai liberi dalla dualità. La presenza è al di là della presenza o dell’assenza d’oggetto, al di là della mente, al di là del cervello. Tutto questo appare e scompare nella presenza senza limite che non è oggetto. 

Quando sentite il cervello come sentite i vostri muscoli, non è con l’intenzione d’interferire con il funzionamento del cervello: è molto semplicemente la sensazione, sentire il cervello senza cercare risultato. E’ uno sguardo innocente che libera il cervello dal cervello. Questo vi porta a essere libero dal meditante, da chi agisce e che non è altro che una costruzione mentale. 

[…] La maggior parte delle tecniche, di cui molti sono pratici in certi monasteri, mettono l’accento sull’arresto della funzione del cervello. Possiamo allora essere liberi dai contenuti del cervello, ma i contenuti non sono il problema. La vera finalità non è di esplorare i contenuti, ma il contenitore. Il contenitore non è l’assenza del contenuto, come il gusto della bocca stessa non è l’assenza di altri gusti. 

[…] il cervello funziona quando c’è bisogno di funzionare. Se è chiamato a pensare, pensa. Quando non c’è niente da pensare, non c’è nessun ruolo da assumere. Il cervello è un organo come un altro. Nello stato di distensione, il cervello è vuoto, ma voi siete talmente abituati ad avere un oggetto nella vostra mente che speso ignorate il vuoto della mente. 

[…] Generalmente conosciamo solo la coscienza come un oggetto, essere coscienti di qualcosa, anche se è la coscienza della tranquillità, della pace e così via. Sono ancora oggetti, stati, che vi mantengono nella cornice della dualità. La coscienza senza oggetto vi è sconosciuta; tuttavia è ciò che vi è più vicino, la vostra vera natura, ciò che siete. Questa presenza non può essere sperimentata come gioiosa o senza gioia. E’ senza nessuna qualità. Semplicemente è.” – Jean Klein, Sentire il cervello

Giunge il momento di esercitare la propria attitudine ad un atteggiamento meditativo.

Seguendo gli insegnamenti di Eric Baret, torniamo al corpo, diventando attenti alla sensazione degli occhi, al loro peso, al senso di compressione che vi alberga. E poi lasciamo che i globi oculari, come due biglie di piombo, colino davanti alle orbite, richiamati dalla gravità verso il suolo. Sentiamoli appesi, come si vede in certi dipinti tantrici del buddismo tibetano, coscienti delle orbite vuote, spaziose, profonde come immense caverne. 

Contenitore, contenuto…