Śivaismo del Kashmir

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Tantrismo è parola molto equivocata e spesso non compresa. Una selva di dottrine metafisiche ed innumerevoli pratiche rituali si collegano all’esperienza tantrica. In particolare lo Śivaismo non duale del Kashmir, sviluppatosi a partire dal secolo VIII e culminato nella grandiosa opera di Abhinavagupta, apre prospettive di una ricchezza prodigiosa.

Abhinavagupta definisce il suo approccio ananda-yoga, yoga della beatitudine o della felicità. Ciò che maggiormente conta è la gioia e l’approccio corporeo è espressione non concettuale di questa stessa gioia.

“Ora poniti fuori dalla progressione spirituale, fuori dalla contemplazione, fuori dall’abile loquacità, fuori dalla ricerca, fuori dalla meditazione sulle divinità, fuori dalla concentrazione e dalla recitazione dei testi. Dimmi, qual’è la Realtà assoluta che non lascia spazio ad alcun dubbio ? Ascolta bene! Smetti di aggrapparti a questo o a quello, e restando nella tua vera natura assoluta, gioisci tranquillamente della realtà del mondo” – Abhinavagupta

Grazie alla trasmutazione sensoriale pesantezza, densità e separazione divengono impalpabilità, leggerezza, trasparenza. Quando la sensibilità viene lasciata libera dall’appropriazione, dal rifiuto, quando la mente si emancipa dall’arroganza, dalla pretesa, allora può emergere uno spazio silenzioso ed accogliente dove la meraviglia della vita può rivelarsi.

La pratica di esplorazione del corpo porta progressivamente al decondizionamento del cervello, sviluppa la capacità di vivere le emozioni senza commenti psicologici, conduce al dispiegamento di energie precedentemente bloccate e sviluppa in noi uno spazio libero da restrizioni mentali che ci apre gli occhi sul nostro funzionamento.

Abbandonare i propri riferimenti richiede intensità e umiltà. Nella tradizione del Kashmir la postura non va mai spinta fino alla creazione di un corpo solido, invece si arresta prima della sensazione di ogni densità corporea. La posizione si sposta nello spazio, diventa spazio e lo spazio si fonde in essa.

“Alcuni allenano il corpo, altri lo tendono o lo distendono. Tutto questo dal punto di vista della tradizione kashmira è una forma di autismo perché noi non siamo due, il corpo non è un oggetto a nostra disposizione. Perciò quando si abbandona questa abitudine a trattare il corpo come un oggetto, rimane qualcosa di sconosciuto, non più il corpo di memoria, il corpo di tensione, il corpo di desiderio, che sono i corpi del passato. Resta una sensazione. Nella tradizione del Kashmir si lascia diventare viva questa sensazione e ciò richiede di non avere alcun legame psicologico con la sensazione; non ci si aspetta niente dalla sensazione, non si rifiuta niente, non si cerca niente.” – Eric Baret

Anche la libertà nei confronti del sapere è spazio. Non c’è nessuna esigenza di rassicurazioni: si vive senza conclusione, nessun progetto, nessun obiettivo, solo celebrazione dell’istante.

Liberarsi dalla sofferenza non consiste nell’eliminare le nostre situazioni problematiche della vita quotidiana, ma nel vederle, senza commenti. Quale che sia l’azione compiuta, tutto è offerta, canto alla vita. Quando la mente si libera dalla sua fantasia di voler divenire, accumulare, proteggersi, rassicurarsi, si presenta una nuova vita, naturalmente.

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