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Dispiegare le ali e prendere il volo

Eccoci: donne e uomini con un corpo strettamente connesso alla terra, con membra pesanti che ci ancorano al suolo. Ed è forse anche per questo che siamo affascinati dall’idea del volo.

È significativo che Viṣṇu dorma su un serpente e cavalchi un’aquila [Garuḍa, n.d.r.]. I serpenti e le aquile sono infatti nemici nati; il serpente mangia le uova dell’aquila, e l’aquila caccia il serpente. Tuttavia, Viṣṇu convive sia con il predatore sia con la preda, ed è per questo che è il custode. Conosce il valore del serpente e dell’aquila e non preferisce l’uno all’altro, perché sa che ognuno di essi svolge un ruolo importante nel cosmo. Garuḍa evoca la visione a volo d’uccello, lo sguardo strategico dell’umanità, invece il serpente incarna la visione rasoterra, tattica, degli esseri umani. Così, Viṣṇu ha sia una visione ampia sia una visione focalizzata del mondo, il che fa di lui il grande osservatore e custode di tutte le cose.

Da Yoga e mito di Devdutt Pattanaik

Ma quando viene a mancare il terreno sotto i piedi, allora imparare a volare diventa un’esigenza, una via d’uscita.

PC: Lo spirito è tutto.

TS: Cosa vuoi dire?

PC: Credo che un altro modo per dirlo sia che l’attitudine è tutto. […] È vedere il bicchiere mezzo pieno. E in ciò che accade c’è sempre un potenziale per crescere.
Questo non significa sentirsi bene o male, ma andare oltre queste etichette di bene e male. Puoi sperimentare la tua vera natura come vasta, aperta, nuova, spassionata e non presa da queste etichette che mettiamo sulle cose.
Nel processo di invecchiamento lo spirito è tutto. Guardare alle cose come positive, guardare avanti – proviamo a usare la parola avanti invece di positivo, perché ciò include qualsiasi cosa possa accadere. Invece di andare indietro cercando di trovare queste piccole isole di sicurezza che continuano a venir meno, impari invece a volare o a fluttuare e a stare bene nel senza forma, senza terreno sotto i piedi, nell’aperta indeterminatezza delle cose, che è ciò che sei sempre stata.
Non sai mai cosa stia per accadere, e passando da un momento all’altro non sai mai chi sei. Tutto accade piano piano. Vedi, per me, a questo punto, è semplicemente elettrizzante come tutto continui ad accadere. Persino la noia accade.”

Da Fallisci, fallisci ancora, fallisci meglio di Pema Chödrön

E chi più dei poeti può insegnarci a librarci in alto, ad adottare prospettive inattese ed ardite?

E poi la vita ci insegna che bisogna sempre volare in alto. Più in alto dell’invidia, più del dolore, della cattiveria… Più in alto delle lacrime, dei giudizi. Bisogna sempre volare in alto, dove certe parole non possono offenderci, dove certi gesti non possono ferirci, dove certe persone non potranno arrivare mai.

Alda Merini

Ho bisogno di alleggerire le spalle, perché è da troppo tempo
che sono cariche di pesi che non ho voluto e non ho chiesto.
E poi sotto ci sono le mie ali. Ci sono io, che ho bisogno di volare.

Alda Merini

Gabbiani

Non so dove i gabbiani
abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua
ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi
amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

Vincenzo Cardarelli

Piegare le ali
distendere le ali
sprimacciarsi
becchettare
buttarsi all’aria
posarsi
mettere il capo sotto l’ala
abbandonarsi
al governo del vento
contrastare l’ora del buio
con stracci di voce
nell’aria blu.
Farsi un nido
ramo su ramo
filo per filo
abbandonarlo
migrare
tornare
fissare un punto in aria
chinare il capo
aprire il becco
aspirare
il cielo
disobbedire agli angeli
e agli astronauti
farsi terra e polvere
giú giú
restituirsi
a vermi erba e assenza
di gravità:
leggero leggerissimo
chi cade.

Da Fatti vivo di Chandra Livia Candiani

Ed in fondo ogni ricercatore auspica di poter assistere al misterioso ed ipnotico volo d’uccelli in grado di aprire le porte della comprensione profonda, del Sé libero dallo spazio e dal tempo.

Un mutamento improvviso accadde una sera sul lungomare di Bombay. Stavo guardando gli uccelli volare, senza formulare un pensiero o un’interpretazione, quando fui completamente preso da essi e avvertii che ogni cosa stava accadendo dentro di me. In quel momento conobbi me stesso consapevolmente. La mattina successiva seppi, di fronte alla molteplicità della vita quotidiana, che «essere comprensione» si era determinato. L’auto-immagine si era totalmente dissolta, e libero dal conflitto e dall’interferenza dell’immagine dell’io, tutto ciò che accadeva apparteneva all’essere consapevolezza, alla totalità. La vita scorreva senza essere attraversata dalle correnti dell’ego. La memoria psicologica, il piacere e il dispiacere, l’attrazione e la repulsione, erano svaniti. La presenza costante, che chiamiamo il Sé, era libera da ripetizione, memoria, giudizio, comparazione e valutazione. Il centro del mio essere era stato proiettato spontaneamente fuori dal tempo e dallo spazio in una calma senza tempo. In questo non-stato dell’essere la separazione tra «tu» e «io» svaniva completamente. Nulla appariva fuori. Ogni cosa faceva parte di me, ma io non ero in essa. C’era soltanto l’unità.

Conobbi me stesso nell’accadimento presente, non come un concetto, ma come un essere senza localizzazioni nel tempo e nello spazio. In questo non-stato c’era libertà, piena gioia senza oggetto. C’era puro ringraziamento, senza un oggetto di cui ringraziare.

Non era un sentimento affettivo, ma una libertà da ogni affettività, una freddezza prossima al calore.

Da La naturalezza dell’essere di Jean Klein