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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 9 – Śloka 32

La nona delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) è tanto profonda quanto poetica: usa l’immagine delle piume di pavone come metafora per guidarci verso una profonda esperienza di consapevolezza.

Se osserviamo una piuma di pavone, notiamo una serie di cerchi concentrici dai colori vivaci che culminano in un intenso blu cobalto al centro. Questa struttura naturale diventa un potente strumento di visualizzazione per la pratica meditativa e può ispirare una forma di Laya Yoga, lo “yoga della dissoluzione”. Nel contesto tantrico, laya significa letteralmente “dissoluzione” o “assorbimento”, e si riferisce al processo di dissoluzione graduale della coscienza ordinaria nei suoi componenti più sottili, fino a raggiungere lo stato di pura consapevolezza (Bhairava).

Il concetto di “spazio” (śūnya) nella tradizione tantrica è profondamente significativo. Non si riferisce semplicemente al vuoto fisico, ma a un campo di potenzialità pure dove la percezione e l’esperienza possono manifestarsi. Ogni apertura sensoriale è considerata uno “spazio” (śūnya) o un “cerchio” (maṇḍala), un campo dove si manifesta un aspetto specifico della nostra esperienza.

La tradizione tantrica stabilisce una corrispondenza tra i cinque elementi (mahābhūta) e i cinque sensi o cinque spazi (con riferimento alle nostre aperture sensoriali):

  • La terra (pṛthivī) corrisponde all’olfatto (naso)
  • L’acqua (ap) corrisponde al gusto (bocca)
  • Il fuoco (tejas) corrisponde alla vista (occhi)
  • L’aria (vāyu) corrisponde al tatto (superficie corporea)
  • Lo spazio (ākāśa) corrisponde all’udito (orecchie)

Proprio come i cerchi della piuma di pavone si fondono l’uno nell’altro, il processo di dissoluzione dei campi sensoriali segue un ordine preciso e non arbitrario, che riflette la struttura sottile della coscienza secondo la comprensione tantrica. I sensi più grossolani si dissolvono in quelli più sottili, culminando nell’esperienza del “Vuoto Supremo” (anuttara śūnya).

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

32. Per colui che medita la pentade dei vuoti, giovandosi degli occhi policromi della coda del pavone, in invera, nel cuore, una penetrazione del vuoto senza superiore.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: I cinque vuoti sono, secondo Śivopādhyāya, i cinque organi di senso, considerati come vuoti, insostanziali.
Il variegato e gatteggiante ovale che orna le penne caudali del pavone è considerato dallo yogin come un maṇḍala naturale, che serve da supporto alla meditazione sulla vacuità, la quale designa, in queste scuole, la coscienza di là da ogni immagine oggettivata, paragonata ad un etere senza macchia.
Il termine anuttara, «senza superiore», viene usato, nei testi śivaiti, per designare la realtà suprema.
Abhinavagupta, nel suo «Commento lungo» alla Parātriṁśikā, lo spiega in sedici differenti modi, basandosi di volta in volta su una diversa etimologia (si veda PTV, pp. 19 sgg.).

32. Meditando sui cinque vuoti dei sensi, che sono come i vari colori delle piume del pavone, lo yogi entra nel Cuore del Vuoto assoluto.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: […] I cinque organi dei sensi sono come le ali o le piume di un pavone. Quando i cinque organi sono diretti ai loro rispettivi oggetti, considera che l’oggetto percepito dall’occhio, dall’orecchio,
dal naso, dalla pelle (attraverso il tatto) o dalla lingua, è soltanto śūnya, vuoto. Non c’è nulla in esso. È soltanto vuoto: tutti questi oggetti sono vuoti. Senza permettere alla tua coscienza di essere influenzata da questi oggetti, devi concentrarti simultaneamente su questi cinque
e realizzare che essi sono soltanto vuoto e nient’altro. […]
E cosa succede? Entrerai in quel Cuore supremo che è pieno di vuoto, e quel Cuore supremo è il Signore Śiva. Entrerai in quell’anuttara, il Cuore supremo, śūnya. È assolutamente puro śāktopāya

32. Lo yogi dovrebbe meditare nel suo cuore sui cinque vuoti1 dei cinque sensi, che sono come i cinque vuoti che appaiono nei cerchi2 delle piume variegate dei pavoni. In questo modo, sarà assorbito nel Vuoto Assoluto3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Cinque vuoti o śūnya-pañcakam: Questo significa che il yogi dovrebbe meditare sulle cinque sorgenti ultime dei cinque sensi, ovvero i cinque tanmātra: il suono in sé, la forma in sé, ecc., che non hanno un’apparenza concreta e sono meri vuoti. […]
2. Cerchi – maṇḍala: Anche il termine maṇḍala ha un doppio significato. Nel caso del pavone, si riferisce ai cerchi delle sue piume; nel caso del yogi, si riferisce ai sensi. […]
3. Il Vuoto Assoluto è Bhairava, che è al di là dei sensi e della mente, al di là di tutte le categorie di questi strumenti. Dal punto di vista della mente umana, Egli è il Vuoto assoluto. Dal punto di vista della Realtà, Egli è pienezza assoluta, poiché è la sorgente di tutta la manifestazione.

Meditando sui Cinque Spazi come i cerchi colorati delle piume del pavone, si entra nel Cuore, lo Spazio Supremo.

Christopher D. Wallis

Ecco una versione semplificata e accessibile di questa antica pratica:

  • Campo Visivo: Iniziate osservando l’intero campo visivo simultaneamente, includendo anche la visione periferica. Non concentratevi sui dettagli, ma sulla totalità dell’esperienza visiva.
  • Esperienza Olfattiva: Chiudete gli occhi e spostate l’attenzione al senso dell’olfatto, percependo gli aromi presenti nell’ambiente o semplicemente concentrandovi sul respiro che fluisce attraverso le narici.
  • Transizione al Gusto: Gradualmente, fate confluire questa consapevolezza nel senso del gusto. Diventate consapevoli delle sensazioni nella bocca e sulla lingua.
  • Sensazioni Tattili: Espandete la consapevolezza all’intero campo delle sensazioni corporee – il contatto con i vestiti, la temperatura dell’aria, il movimento del respiro nel corpo.
  • Dimensione Sonora: Infine, lasciate che tutte queste sensazioni si fondano nel campo sonoro. Ascoltate non solo con le orecchie, ma con tutto il corpo, includendo anche il silenzio che fa da sfondo a ogni suono.

Il culmine della pratica, l’entrata nello “Spazio Supremo” (anuttara śūnya), associato al colore blu cobalto presente anche al centro della piuma di pavone e caratteristico di Śiva stesso, rappresenta nella tradizione tantrica il riconoscimento della natura fondamentale della coscienza stessa. Questo stato non è un vuoto nichilistico, ma piuttosto la fonte viva di ogni esperienza, ciò che i tantrici chiamano Bhairava, la coscienza pura e indifferenziata.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 8 – Śloka 31

L’ottava delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) descrive una pratica avanzata nota come Khecarī Mudrā, una tecnica esoterica che nel Tantra classico simboleggia il volo della coscienza oltre i limiti del corpo e della mente e che consente allo yogi di realizzare la propria natura onnipervasiva e libera, come un cielo senza confini.

Il verso 31 del Vijñāna Bhairava Tantra è un invito a trascendere i limiti della mente ordinaria e a sperimentare la propria essenza come pura coscienza. Sebbene questa pratica sia avanzata e richieda la guida di un maestro esperto, la sua descrizione offre ispirazione per approfondire la relazione tra respiro, energia e consapevolezza.

Come sempre, è essenziale affrontare queste tecniche con rispetto e prudenza, lasciandosi guidare dalla saggezza della tradizione e dall’esperienza diretta.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

31. Riempiendo rapidamente per mezzo di essa lo dvādaśānta, attraversatolo con quel ponte che è la contrazione delle sopracciglia, e resa così la mente priva di pensiero discorsivo, si invera, nel punto più alto di tutto, il sorgere dell’onnipervadenza.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

Con il pronome « essa » ci si riferisce alla potenza del soffio vitale, che vien meditata ascendente attraverso i cakra e sospinta verso l’ultimo, lo dvādaśānta, in virtù della contrazione delle sopracciglia (bhrūkṣepa) che, simile ad un ponte teso su di una corrente d’acqua, sospinge l’energia del soffio vitale nel supremo etere. In altri termini, la potenza del soffio vitale, prima di arrivare allo dvādaśānta, deve passare di là dalle sopracciglia, ‘traforare’ la ruota che si trova nel mezzo delle sopracciglia.

31. Avendo riempito (il corpo fino a) mūrdhānta con la stessa energia del respiro e attraversandolo come un ponte, contraendo le sopracciglia e liberando la mente dai pensieri, si diventa onnipervadenti nel più alto stato.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Questo è il cammino dell’anavopāya senza successione. Il cammino precedente era quello con successione. […] con quella energia del prāṇa (respiro), devi riempire il corpo fino a Śakti, dopo aver sospeso il movimento del respiro […] devi concentrarti solo sul centro delle sopracciglia. […] Non è kumbhaka. È univocità. […] Dopo che è sospeso, devi fare in modo che la tua mente diventi completamente priva di pensieri […]
Quando sei in quello stato supremo di Signore Śiva […] significa che l’onnipervadenza splende. Egli diventa onnipervadente in quello stato supremo. Questo è il cammino dell’anavopāya perché devi praticare con il respiro. […] Quando c’è solo concentrazione sul vuoto, allora sarà sempre śaktopāya.

31. Riempendo il mūrdhānta (lo spazio della sommità della testa) con la stessa energia prāṇica e attraversandolo mediante la contrazione “ponte” delle sopracciglia (bhrūkṣepa), la mente deve essere liberata da ogni costruzione dicotomica. La coscienza ascenderà al di sopra del dvādaśānta, facendo emergere la sensazione di onnipresenza.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Mūrdhānta: Indica il dvādaśānta, situato sopra il brahmarandhra, uno spazio di dodici dita sopra il centro delle sopracciglia.
2. Bhrūkṣepa: Tecnica esoterica in cui la contrazione delle sopracciglia funge da ponte per trasformare l’energia prāṇica in citśakti, sollevando la coscienza a livelli superiori.
Questa pratica appartiene al percorso esoterico del śāktopāya.

Dopo aver riempito rapidamente (il corpo fino alla Cavità di Brahmā) sulla sommità della testa con quella (stessa energia del respiro vitale) e averlo attraversato (con) il ponte (formato dalla) contrazione delle sopracciglia, liberando la mente dal pensiero, l’onnipresente emerge sopra tutte (le cose).

Mark Dyczkowski

Avendo rapidamente riempito [il canale centrale] con quell’energia, e avendo poi sfondato la sommità della testa [o brahmarandhra] per mezzo della “diga” di concentrazione tra le sopracciglia, [e] avendo [in tal modo] liberato la mente dal suo pensiero incantato, si ascende allo stato onnipervasivo (vyāpinī) nel [luogo] al di sopra di tutto. 

Christopher D. Wallis

Un’immagine ricorrente nei commentari è quella della diga che blocca temporaneamente il flusso dell’acqua, per poi rilasciarla al momento opportuno. Qui la diga rappresenta il controllo del respiro e della concentrazione mentale, che accumulano energia fino al momento in cui questa viene rilasciata verso i centri superiori.

Nel Tantrāloka, Abhinavagupta ci informa che “di tutte le mudrā, la principale è l’eterovaga (khecarī)”e ne espone le numerose varietà trattate nei Tantra classici. In particolare descrive una pratica che ci ricorda quella del nostro śloka:

«Lo yoghin (così nel Mālinīvijaya), lo yoghin, postosi nella positura del loto, deve applicare la mente all’ombelico e quindi, in forma di asse, elevarla via via fino ai tre fori, dove, fermatala, deve poi di nuovo spingerla velocemente attraverso (gli altri) tre fori. Grazie all’esecuzione di questa mudrā lo yoghin vaga nell’etere»

Luce delle sacre scritture (Tantrāloka) di Abhinavagupta, XXXII, 10b-12a (a cura di Ranierio Gnoli) – UTET

Secondo i commentari classici, la pratica si svolge in tre fasi principali:

  1. Riempimento del canale centrale: Il praticante riempie il canale centrale con l’energia vitale (prāṇa-śakti) inspirando dalla base del busto (pavimento pelvico) fino al ponte del naso.
  2. Concentrazione tra le sopracciglia: Attraverso la tecnica di concentrazione sul terzo occhio (bhrūkṣepa) e la ritenzione del respiro (kumbhaka), la mente viene liberata da ogni pensiero.
  3. Ascesa dell’energia: Con un’espirazione controllata, l’energia rompe la “diga” a livello del ponte del naso e si eleva verso l’alto e verso l’esterno dalla sommità della testa, espandendosi in una consapevolezza infinita e onnipervadente.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Mantra Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 7 – Śloka 30

La settima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) lavora con un sistema di dodici cakra (centri energetici) associati a degli specifici fonemi e può essere considerata una pratica mantrica avanzata. Le vocali sanscrite, considerate sacre, sono viste come manifestazioni del suono primordiale (śabdarāśi) e come vibrazioni divine.

Per ciascun cakra oggetto di contemplazione si attraversano tre livelli di consapevolezza:

  • Grossolano (sthūla): in cui ci si focalizza sull’aspetto fisico o manifesto del cakra.
  • Sottile (sūkṣma): si percepisce il centro energetico come vibrazione o pulsazione.  
  • Supremo (para): si sperimenta il cakra come pura coscienza divina.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

30. Superando via via le dodici successioni, caratterizzate dai dodici fonemi, in base a una progressione di grosso, sottile, supremo, alla fine si invera Śiva.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:
I dodici fonemi meditati sui cakra sono A, Ā, I, Ī, U, Ū, E, AI, O, AU, AM, AH.
Questi fonemi si manifestano prima nel loro aspetto grosso, cioè percepibile all’udito, poi come potenze del nostro stesso pensiero ed infine come aspetti o organi della volontà divina, in corrispondenza coi tre stadi della parola o vocalità, cioè la parola corporea (vaikharī), la parola mezzana (madhyamā) e la parola veggente (paśhyantī).

30. Ci sono dodici centri successivi associati a dodici lettere, su cui ci si dovrebbe concentrare nei loro stati grossolano, sottile e supremo (rispettivamente). Trascendendo ciascun centro (successivamente), alla fine si realizza Śiva.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue:
[…] Esistono dodici stati successivi, krama-dvādaśakam, cioè un krama a dodici fasi. Questi dodici processi successivi, krama, sono spiegati nel commento. I punti sono: janmāgra, mūla, kaṇḍa, nābhi, hṛt, kaṇṭha, tālu, bhrūmadhya, lalāṭa, brahmarandhra, śakti e vyāpinī. […] Questi sono i dodici krama successivi, e questi dodici stati sono rappresentati dalle dodici vocali. […] Praticate e processate questi stati con consapevolezza grossolana, consapevolezza media e consapevolezza suprema.

30. Dodici centri di energia1 progressivamente più elevati associati a dodici lettere2 successive dovrebbero essere oggetto di appropriata meditazione. Ognuno di essi dovrebbe essere inizialmente contemplato in una fase grossolana, poi, abbandonata questa, in una fase sottile, e infine, lasciata anche questa, nella fase suprema, fino a quando il meditante si identifica completamente con Śiva.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. I dodici centri energetici successivi (krama-dvādaśakam) sono: 1 Janmāgra, 2 Mūla, 3 Kaṇḍa, 4 Nābhi, 5 Hṛdaya, 6 Kaṇṭha, 7 Tālu, 8 Bhrūmadhya, 9 Lalāṭa, 10 Brahmarandhra, 11
Śakti, 12 Vyāpinī. Questi sono conosciuti come dvādaśasthāna o i dodici stadi. Rappresentano le fasi dell’ascesa della kuṇḍalinī e corrispondono a dodici vocali.
I primi quattro stadi o stazioni o centri di energia sono inferiori (apara) e riguardano bheda o differenza:
I. Janmāgra: situato a livello dell’organo generativo, legato al janma (nascita). È conosciuto anche come janmādhāra (base della generazione) o janmasthāna (stazione coinvolta nella generazione).
II. Mūla: generalmente noto come mūlādhāra, il centro della radice, situato nella regione spinale sotto i genitali.
III. Kaṇḍa: una radice bulbosa o tuberosa, così chiamata per il suo intreccio di numerosi nervi.
IV. Nābhi: l’ombelico, vicino al Maṇipura cakra.
I cinque stadi successivi (parā-para) riguardano energie più sottili conosciute come bhedābheda:
V. Hṛd: il cuore.
VI. Kaṇṭha: la cavità alla base della gola.
VII. Tālu: il palato.
VIII. Bhrūmadhya: il centro tra le sopracciglia.
IX. Lalāṭa: la fronte.
Gli ultimi tre stadi riguardano energie sotto forma di parā o abheda:
X. Brahmarandhra: l’apice del cranio.
XI. Śakti: energia pura non costituente del corpo.
XII. Vyāpinī: l’energia che appare quando la kuṇḍalinī completa il suo viaggio.
2.Le dodici lettere successive sono le seguenti dodici vocali: a, ā, i, ī, u, ū, e, ai, o, au, am, aḥ. Queste vocali devono essere meditate nei suddetti dodici stadi della kuṇḍalinī.
Questa pratica (dhāraṇā) nella sua forma grossolana consiste in āṇavopāya, mentre nella sua forma sottile e suprema consiste in śāktopāya.

E nel concreto? Un suggerimento per la pratica potrebbe essere il seguente:

  • Siediti in una posizione stabile e confortevole. Mantieni la schiena dritta e il corpo il più immobile possibile.  
  • Chiudi gli occhi e rilassati, lasciando che il respiro fluisca naturalmente.  
  • Visualizza ciascuno dei dodici cakra, uno alla volta, dalla base alla sommità, come una sfera luminosa, intonando la vocale sanscrita corrispondente ad alta voce, focalizzandoti sull’energia e sulla vibrazione.  
  • Ripeti la pratica in silenzio, lasciando che le vocali risuonino interiormente come una pulsazione sottile, cercando di percepire la qualità energetica di ogni vocale in ciascun cakra.  
  • Alla fine, visualizza tutti i dodici cakra insieme, brillanti, purificati e pieni di luce, mantenendo la consapevolezza simultanea di tutti i cakra.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 6 – Śloka 29

La sesta delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) descrive un’esperienza meditativa in cui l’energia divina, chiamata śakti, si muove attraverso i centri sottili (cakra) del corpo in una sequenza ascendente. L’energia è visualizzata o percepita come un lampo, rapido e vibrante, che collega ciascun cakra al successivo fino a raggiungere il dvādaśānta. Quest’ultimo si trova a circa dodici dita, o tre pugni, sopra la corona della testa.

La conclusione del movimento energetico porta alla “Grande Alba” (mahodayā), un termine che allude a uno stato di liberazione spirituale, risveglio completo o illuminazione. Questo processo non è solo simbolico, ma può essere vissuto come un’esperienza concreta.

Il verso evidenzia la natura dinamica del percorso energetico e riflette l’essenza del tantrismo: utilizzare il corpo e il sistema energetico come strumenti per trascendere la dualità e accedere a stati di unità divina.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

29. [Questa potenza giova meditarla] ascendente, simile a un lampo, via via attraverso le varie ruote, su su fino allo dvādaśānta: così, alla fine, si invera il grande sorgere [di Bhairava).

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989

29. (Si mediti su) la Śakti ascendente nella forma di un lampo, mentre si muove verso l’alto da un cakra all’altro fino a raggiungere dvādaśānta. Alla fine si manifesta il grande Risveglio.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: La Śakti sorge, udgacchantīṃ, e appare nella forma di un lampo. Essa non si muove direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra, ma ascende in maniera successiva (praticakram). Questo è il movimento del prāṇa-kuṇḍalinī. Ad esempio, sale dal mūlādhāra-cakra al cakra dell’ombelico [nābh], dall’ombelico al cuore [hṛdaya], dal cuore alla gola [kaṇṭha], dalla gola al bhṛūmadhya, e dal bhṛūmadhya al brahmarandhra.

29. Medita su quella stessa Śakti simile a un lampo (cioè Kuṇḍalinī), che si muove verso l’alto passando successivamente da un centro di energia (cakra) all’altro, fino a tre pugni sopra, ovvero dvādaśānta. Alla fine, si può sperimentare la magnifica ascesa di Bhairava.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Questo dvādaśānta si riferisce anche al brahmarandhra.
2. Qui si descrive l’ascesa della Kuṇḍalinī che, perforando successivamente tutti i cakra o centri di energia, alla fine si dissolve nel brahmarandhra. Questo processo è noto come prāṇa-kuṇḍalinī.
La differenza tra questa dhāraṇā (tecnica meditativa) e quella precedente consiste nel fatto che, in questa pratica, la Kuṇḍalinī si muove successivamente attraverso i cakra e alla fine si dissolve nel brahmarandhra, mentre nella precedente dhāraṇā, la Kuṇḍalinī sorge direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra e si dissolve in esso senza passare attraverso i cakra intermedi.
Jayaratha cita questa tecnica nel suo commento al Tantrāloka (v. 88). Questo è śaktopāya.

29. (Contempla Kuṇḍalinī, il potere del respiro vitale) nella forma di un lampo, che ascende attraverso ciascun Cakra (uno dopo l’altro) in ordine, fino al limite superiore dei Dodici, finché, alla fine, avviene il Grande Risveglio!

Mark Dyczkowski

Immagina la Śakti che sorge come un lampo, passando da un centro sottile (cakra) al successivo in successione. Quando raggiunge il centro più alto, tre pugni sopra la corona, si verifica la Grande Alba della liberazione [e prosperità].

Christopher D. Wallis

Nessuna frustrazione se inizialmente non si sente nulla di concreto. La pratica usa l’immaginazione come strumento per focalizzare la coscienza, creando una “mappa” che l’energia seguirà. La frequentazione regolare di questa dhāranā consentirà la transizione dall’immaginazione ad una esperienza diretta chiara e palpabile.

Per ulteriori approfondimenti circa l’ascesa di Kuṇḍalinī è possibile fare riferimento al Tantrāloka di Abhinavagupta e al suo commento, il Tantrālokaviveka di Jayaratha (in particolare versi 88 e 89).

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 5 – Śloka 28

La quinta delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) introduce un’importante pratica tantrica incentrata sulla risalita dell’energia, o ascesa di Kuṇḍalinī, attraverso il canale centrale (madhya-nāḍī) e descrive un metodo per raggiungere uno stato di consapevolezza intensificata, espansa, spaziosa, aperta, di quiete gioiosa e beata (stato di Bhairava).

Prima di affrontare la lettura del testo vale forse la pena ricordare alcuni elementi essenziali.

Il Canale Centrale:

  • Non coincide con la colonna vertebrale come spesso erroneamente interpretato nello yoga moderno; piuttosto la spina dorsale è un riverbero fisico del canale centrale, che è una realtà energetica sottile;
  • È perfettamente dritto e corre dal pavimento pelvico (ad indicare che l’energia sessuale è intimamente correlata a Kuṇḍalinī-śakti) alla sommità della testa per la larghezza circa di un dito;
  • La sua importanza è una caratteristica distintiva dello yoga tantrico.

La Kuṇḍalinī:

  • All’epoca della redazione del testo (IX secolo) aveva un significato diverso dall’attuale;
  • Si riferiva principalmente all’energia collegata alla risonanza e alla vibrazione mantrica e al potere fonemico, non all’energia più in generale, come normalmente intesa oggi.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

28. Su dalla radice, luminosa di raggi, più sottile del sottile, giova meditare come questa [potenza] si acquieti alla fine nello dvādaśānta: in tal modo si ha il sorgere di Bhairava.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: In questa e nelle seguenti stanze si allude a pratiche meditative connesse con il risveglio della kuṇḍalinī. La kuṇḍalinī è l’energia vitale (qui identificata con la potenza del soffio vitale) che, rappresentata da un serpente arrotolato, riposa assopita alla radice della spina dorsale, sotto i genitali. Lo yogin, risvegliatala, la sospinge verso la sommità del capo, dove essa fuoriesce attraverso il foro di Brahmā [brahmarandhra, per librarsi nell’etere sovrastante e riunirsi, nello dvādaśānta, con Śiva. Il percorso ascensionale della kuṇḍalinī è scandito dalle ruote o cakra che, in diverso numero secondo le scuole, sono disposte lungo l’asse centrale fisicamente identificato con la spina dorsale. Ogni ruota deve essere meditata proiettando su di essa via via differenti fonemi o mantra.

28. Medita sulla Śakti che sorge dal mūlādhāra (cakra), luminosa come i raggi del sole, e che diventa sempre più sottile fino a dissolversi nello dvādaśānta. Allora sorgerà lo stato di Bhairava.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Questo è lo stato in cui ci si concentra su quella prāṇa-śakti che sorge nella forma di kuṇḍalinī. Dal mūlādhāra cakra allo ūrdhva-dvādaśānta […] ūrdhva-dvādaśānta corrisponde qui al brahmarandhra. La kuṇḍalinī sorge dal mūlādhāra […] Non si solleva lungo il percorso del respiro, ma si innalza direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra […]. Devi contemplare quella prāṇa-śakti che sorge dal mūla […], nella forma di raggi. E quei raggi sono i più sottili […]. Quando contempli quella prāṇa-śakti in questo modo […], quando quella prāṇa-śakti prende dimora nel brahmarandhra […] e si placa lì, stabilendosi in completa tranquillità, lo stato di Bhairava viene rivelato. Questo è l’innalzamento della prāṇa-śakti nella forma di kuṇḍalinī.

28. Medita sulla Śakti1 che sorge dal mūlādhāra cakra2, scintillante come i raggi del sole, e che diventa sempre più sottile fino a dissolversi nello dvādaśānta3. Così si manifesta Bhairava4.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Śakti qui si riferisce alla prāṇa-śakti, che risiede come prāṇa-kuṇḍalinī nell’interno del corpo. La kuṇḍalinī giace avvolta in 3 giri e mezzo nel mūlādhāra.
2. Il mūlādhāra cakra si trova nella regione spinale sotto i genitali. Un cakra è un centro di energia prāṇica situato nel prāṇamaya kośa, all’interno del corpo. Questa pratica (dhāraṇā) riguarda l’innalzamento della kuṇḍalinī, che in un lampo raggiunge il dvādaśānta (o brahmarandhra, il cakra situato sulla sommità del capo) e si dissolve in esso. Questo fenomeno è noto come cit-kuṇḍalinī o akrama kuṇḍalinī, ossia la kuṇḍalinī che non passa successivamente attraverso i cakra ma va direttamente al brahmarandhra.
3. Dviṣaṭkānte (due volte sei) indica lo dvādaśānta, che si trova a una distanza di 12 dita dal centro delle sopracciglia (bhrūmadhya).
4. Nello dvādaśānta o brahmarandhra, la kuṇḍalinī si dissolve nel prakāśa (luce di coscienza) che dimora nel brahmarandhra. In quel prakāśa si rivela la natura di Bhairava.
Poiché questa dhāraṇā dipende dalla contemplazione (bhāvanā) della prāṇa-śakti, è considerata un āṇava-upāya. Tuttavia, il Netra Tantra la interpreta come un śāmbhava-upāya.

Si dovrebbe pensare alla luce dei raggi (dell’energia del soffio vitale che brillano) dalla Radice, più sottile del sottile, che si placa nello dvādaśānta (la Fine dei Dodici), dove Bhairava emerge.

Mark Dyczkowski

Immagina la forma più sottile possibile del prāṇa come raggi di luce che brillano verso l’alto dalla radice [del canale centrale] e si dissolvono pacificamente nel centro più alto sopra la sommità del capo; allora sorge Bhairava (la consapevolezza spaziosa).

Christopher D. Wallis

La pratica si adatta al livello di esperienza del praticante. Per i principianti “vedere” questa luce scintillante significa “immaginare”, mentre per i più esperti significa “meditare su” ciò che già sperimentano direttamente.

Questi raggi luminosi seguono un percorso ascendente e gradualmente si dissolvono sopra la corona della testa. Questo punto rappresenta il limite superiore del corpo sottile (talvolta chiamato “aura”), dove la luce si fonde nell’esperienza dell’Assoluto.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 3 – Śloka 26

La terza delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) si manifesta quando si è così immersi nel centro energetico che il pensiero discorsivo, il chiacchericcio mentale che ci abita costantemente, finalmente si placa, fino a scomparire. Si è semplicemente presenti in questo spazio centrale aperto e vibrante, senza pensare, in uno stato di sospensione del respiro. Quando l’attenzione si concentra su questo centro e i pensieri (vikalpa) si dissolvono, tutto si sospende, permettendo di percepire la beatitudine (ananda), la realtà più intima di ogni cosa, situata nel punto più profondo e protetto, il centro dell’essere.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

26. La potenza propria del soffro vitale più non esce, più non entra, dischiusosi che sia il punto di mezzo, in virtù dell’assenza di ogni pensiero discorsivo. Grazie ad essa si invera la condizione di Bhairava.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: Il kumbhaka o ritenzione dei soffi vitali è il terzo momento del prānāyāma, la regolazione yoghica della respirazione. Lo yogin, ritmando e rallentando il movimento del respiro, compie tre operazioni: inspirazione (pūraka), espirazione (recaka) e ritenzione (kumbhaka).
La respirazione è connessa coi diversi stati mentali ed è quindi uno dei mezzi principali a nostra disposizione per intervenire su di essi: in altre parole, ogni stato di coscienza può essere esperito, conosciuto, penetrato e controllato con una adeguata regolazione della respirazione.
Tale pratica porta ad una costante consapevolezza ed attenzione alle modalità del nostro pensiero e della nostra psiche: alla fine, si ha l’inverarsi dello stato supremo.

26. L’energia del respiro non dovrebbe né uscire né entrare; quando il centro si dischiude con la dissoluzione dei pensieri, allora si raggiunge la natura di Bhairava.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Quando stabilisci la focalizzazione nella vena centrale (susumnā) […] l’energia del respiro non esce né entra, perché […] questa vena centrale è già mantenuta in un solo punto. […] Questo è śāmbhavopāya […] nessuna recitazione del mantra e nessuna oggettività in quella coscienza. È una consapevolezza spontanea e centrata. Non c’è supporto dei due vuoti, non c’è dualità.

26. Quando lo stato di mezzo si sviluppa per mezzo della dissoluzione di tutti i costrutti di pensiero dicotomizzanti1 prāna-śakti nella forma di espirazione (prāna) non esce dal centro (del corpo) verso dvādaśānta2, né quella śakti sotto forma di inalazione (apāna) entra nel centro da dvādaśānta. In questo modo per mezzo di Bhairavī che si esprime sotto forma di cessazione di prāna (espirazione) e apāna (inalazione), lì emerge lo stato di Bhairava3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. In questa dhāranā, prāna (espirazione) e apāna (inalazione) cessano e madhya daśā si sviluppa cioè prānaśakti in susumnā si sviluppa per mezzo di nirvikalpabhāva, cioè con la cessazione di tutti i costrutti di pensiero; quindi viene rivelata la natura di Bhairava.
Sivopādhyāya nel suo commento dice che il nirvikalpabhāva è il risultato di Bhairavī mudrā in cui anche quando i sensi sono aperti verso l’esterno, l’attenzione è rivolta verso l’interno allo spanda interiore o pulsazione della coscienza creativa che è la base e il supporto di tutte le attività mentali e sensuali, quindi tutti i vikalpa o costrutti di pensiero cessano. Il respiro non esce, né entra, e la natura essenziale di Bhairava viene rivelata.
2. Dvādaśānta significa una distanza di 12 dita nello spazio esterno misurata dalla punta del naso.
3. La differenza tra la precedente dhāranā e questa sta nel fatto che mentre nella precedente dhāranā, madhya daśa si sviluppa attraverso la consapevolezza focalizzata delle pause di prāna e apāna , nella presente dhāranā, madhya daśa si sviluppa per mezzo di nirvikalpabhāva. […]

Oppure, ogni volta che l’inspirazione e l’espirazione si fondono, in questo istante tocca il centro privo di energia, pieno di energia.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: […] Noi siamo divisi in centro e periferia. Il corpo è la periferia; noi conosciamo il corpo, conosciamo la periferia, conosciamo la circonferenza, ma non sappiamo dove sia il centro. Quando l’espirazione si fonde con l’inspirazione, quando diventano tutt’uno, quando non sei in grado di dire se si tratta di un’espirazione o di un’inspirazione, quando è difficile demarcare e definire se il respiro stia entrando oppure uscendo, quando il respiro è penetrato e comincia a uscire, in quell’attimo esiste una fusione: il respiro non esce né entra, è statico.[…] Il punto di fusione tra il respiro che entra e quello che esce è il tuo centro. […] Il respiro va costantemente al centro e ne esce, ma noi non respiriamo mai intensamente, per cui, normalmente, il respiro non tocca mai il nostro centro, non al giorno d’oggi, perlomeno. Ecco perché oggigiorno ci se sente tanto “scentrati”.

Sulla relazione tra respiro e attività del pensiero come conoscere differenziato (vikalpa), possiamo attingere da altre fonti autorevoli che ribadiscono i contenuti del nostro tantra:

Infatti, non essendovi più sorgere di nuovi movimenti respiratori, non può logicamente esservi neppure più molteplicità di conoscere, la quale è generata dalla molteplicità del tempo.

Luce delle sacre scritture (Tantrāloka) di Abhinavagupta, VII, 23 b-24 (a cura di Ranierio Gnoli) – UTET

17. Dalla dilatazione del centro si ha il conseguimento della beatitudine della Coscienza.

L’autocoscienza jivaica astratta dalle proprie sovrapposizioni velanti si fonde nella Coscienza pura di Paramaśiva perdendo per sempre qualsiasi limitazione. Lo yogin deve prima raccogliere la consapevolezza dispersa nella sfera sensoriale, in quella mentale, ecc., poi concentrarla nel punto focale centrale, quindi fissare tale posizione mantenendola scevra da qualsiasi appoggio o riferimento e alimentandola incessantemente fino a che, nel giusto tempo, il suo stesso essere-coscienza si risolve in modo del tutto spontaneo nella infinita spazialità adimensionale della Coscienza di Paramaśiva.

Pratyabhijñāhrdayam di Ksemaraja – Traduzione dal sanscrito, presentazione e note a cura di Kevalasangha

Alcuni “metodi” del Vijñāna Bhairava, come quello qui presentato, sembrano alludere ad esperienze che sorgono spontaneamente sul sentiero della meditazione, dove il respiro si fa sempre più sottile, avvicinandosi al nucleo più intimo del proprio essere, fino a fermarsi spontaneamente, insieme all’ideazione della mente, innescando l’espansione del centro (che denota sia il canale centrale che la consapevolezza-presenza che è il nucleo del proprio essere) e svelando lo “stato di Bhairava”, quest’ultimo essendo uno stato di vuoto profondamente immobile che è paradossalmente riempito con la quieta intensità della pura Presenza.

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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 2 – Śloka 25

La seconda delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci invita ad assaporare il riposo a pieno, alla fine dell’inspirazione, ed il riposo a vuoto, al termine dell’espirazione. Si tratta di occasioni concrete e sempre disponibili di incontrare la tranquillità. E se l’inspiro crea il mondo e l’espiro lo dissolve, tra i due vi è una pausa che è un vuoto vibrante, pieno di vita sottile, che può apparire come un abisso, ma che è invece l’essenza stessa della Presenza. Si tratta dello sfondo da cui tutto prende origine e in cui tutto si inabissa. E’ il supporto su cui tutto poggia, espressione di pura libertà.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

25. Grazie al non ritorno del soffio vitale dai due eteri, fuori e dentro, si manifesta così, o Bhairavī, il corpo di Bhairava, di Bhairavī.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: […] Con l’espressione «fuori e dentro» ci si riferisce rispettivamente alla pausa del prāna nello dvādaśānta, esterno al corpo, e dell’apāna nel cuore, dentro il corpo. Il cuore e lo dvādaśānta sono concepiti come due eteri, spazi vuoti, simili ad un cielo senza macchia.

25. O Bhairavī, focalizzando la propria consapevolezza sui due vuoti (alla fine) del respiro interno ed esterno, così la forma gloriosa di Bhairava viene rivelata attraverso Bhairavī.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: […] Quando si mantiene la consapevolezza ininterrotta in questi due vuoti, internamente ed esternamente (c’è il vuoto interno e quello esterno) [la forma gloriosa di Bhairava viene rivelata]

25. Del respiro (espirazione o prāna) che nasce dall’interno, cioè dal centro del corpo (hrt) non c’è ritorno per una frazione di secondo dal dvādaśānta (una distanza di dodici dita dal naso nello spazio esterno), e del respiro (inspirazione o apāna che nasce da dvādaśānta, cioè dallo spazio esterno, non c’è ritorno per una frazione di secondo dal centro del corpo (hrt).1 Se si fissa la mente costantemente su questi due punti di pausa, si scoprirà che Bhairavī, la forma essenziale di Bhairava, si manifesta in quei due punti.2

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. La pausa di prāna nel dvādaśānta è nota come bahih kumbhaka o pausa esterna. La pausa dell’apāna nel centro interno del corpo è nota come antah kumbhaka o pausa interna. Con l’anusandhāna o consapevolezza unidirezionale di queste due pause, la mente diventa introversa e l’attività sia di prāna che di apāna cessa, e c’è la risalita di madhya daśā, cioè il percorso del madhya nādi o susumnā diventa aperto.
2. Se si osservano mentalmente le due pause di cui sopra, si realizza la natura di Bhairava. Questo è ānava upāya in quanto questo processo coinvolge dhyāna o meditazione sui due kumbhaka o pause di prāna e apāna.

Come il respiro volge dal basso verso l’alto, ed ancora come curva dall’alto verso il basso – tramite entrambe queste svolte, realizza.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: […] il respiro che entra è la metà di un cerchio, quello che esce è l’altra metà. Perciò comprendi: primo, l’inspirazione e l’espirazione creano un cerchio. Non sono due linee parallele, perché le linee parallele non si incontrano mai. Inoltre, non si tratta di due respiri, ma di uno solo. E’ lo stesso respiro che entra e poi esce, dunque, all’interno, deve esistere un punto di svolta: deve esistere un punto in cui li respiro entrante diventa uscente. […] Se sai guidare un’automobile, sai che ha le marce. Ogni volta che cambi marcia, devi mettere in folle, che non è affatto una marcia. […] Questa “messa in folle” è il punta di svolta […] Allo stesso modo, quando il respiro entra, e poi compie una svolta, è in folle; altrimenti non potrebbe svoltare! Passa per un territorio neutrale. In quel territorio non sei né corpo né anima, né fisico né mente, perché il fisico è una marcia del tuo essere, come pure la mente. Tu continui a passare da una marcia all’altra, ma devi per forza avere una messa in folle in cui non sei né corpo né mente. In quel “folle” semplicemente esisti: sei solo esistenza, pura, semplice, disincarnata, senza mente.

25. Se ci si esercita senza interruzione sulla coppia degli spazi vuoti, interno ed esterno, dei soffi inspirato ed espirato, l’essenza di Bhairava, che non differisce da Bhairavī, si rivela.

La via del reale. Yoga tantrico – Ritorno a sé – Nathalie Delay – OM, 2023
Commentato come segue: […] Assaporare il gusto particolare dell’inspirazione, poi dell’espirazione. Senza sforzo lasciar allungare e approfondire l’espirazione. Alla fine dell’espirazione, senza bloccare, il soffio si sospende naturalmente. Tocchiamo un istante di pura tranquillità.
Il tempo lineare si arresta. Abbiamo la sensazione di fare un salto nell’eternità. Poi l’onda del respiro riprende. Il corpo si riempie, si espande. Ricevere l’inspirazione. Quando termina, sentire la pienezza, senza attaccamento. Lasciare che l’onda ridiscenda, che il corpo si svuoti. Prendersi il tempo, e poi posarsi nel vuoto che segue, per percepirne il gusto delicato.

Ancora una volta l’invito è a praticare, secondo la propria sensibilità.

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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 1 – Śloka 24

Riconoscere che siamo già realizzati, in quanto forma del divino che si manifesta, può sembrarci un obiettivo irraggiungibile e vagamente autoreferenziale. Ma le 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci guidano nello svelamento di questa perfezione nascosta dalla “densità” del reale. Prendiamo in considerazione la prima di queste dhāranā, attingendo a varie traduzioni e commenti.

  1. In alto il soffio ascendente, in basso il soffio discendente. [Il soggetto che] proferisce [è la stessa] Dea, essenziata di emissione. Nel luogo della duplice nascita, si ha, in ragione dell’onnicomprensione, lo stato onnicomprensivo.
Vijnana bhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: L’emissione (visarga), corrispondente nell’alfabeto sanscrito all’inspirata muta H e qui identificata con la Dea, è il principio che dà origine al movimento respiratorio, costituito dal prāna, il soffio che ascende durante l’espirazione dal cuore allo dvādaśānta, e dall’apāna, il soffio che discende durante l’inspirazione dallo dvādaśānta al cuore.
Il visarga ha, nelle scuole śivaite, molteplici sensi e connotazioni: 1) visarga, metafisicamente, è l’emissione divina, l’atto della creazione; 2) visarga, fisicamente, è l’emissione seminale; 3) visarga, fonicamente, è l’emissione muta H, che simboleggia l’emissione o creazione del tutto.
Con l’espressione “luogo della duplice nascita” ci si riferisce al cuore e allo dvādaśānta, nei quali nascono e si estinguono i due soffi vitali, il prāna e l’apāna.
Nel momento in cui l’un soffo si è estinto e l’altro non è ancora sorto, cioè nel momento iniziale precedente ogni inspirazione ed espirazione, può inverarsi, nello yogin, un’esperienza o stato di coscienza di pienezza, « onnicomprensione», che contiene dentro di sé tutti i successivi movimenti della coscienza.
  1. Bhairava rispose: L’espirazione (prāna) dovrebbe ascendere e l’inspiro (jīva) dovrebbe discendere, (entrambi) formando un visarga (composto da due punti). Il loro stato di pienezza (si trova) fissandoli nei due luoghi di (loro) origine.
Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Bhairavasya sthitih syāt: uno diventa uno con Bhairava a causa della Sua pienezza. Questo è collegato con ānavopāya. Non può essere śaktopāya o śāmbhavopāya, è ānavopāya, perché funziona nel campo oggettivo della coscienza. Devi portare il respiro dal cuore a dvādaśānta e riportarlo dal dvādaśānta al cuore nuovamente e recitare prāna e jīva. Recitare prāna significa recitare “sa” nel dvādaśānta esterno e amkāra di “ha” sarà recitato nel cuore. Quando il tuo respiro entra, finirà in “am”, quando lo espelli, finirà nel visarga: “sah” e se ti concentri su questi due punti di partenza, diventerai uno con Bhairava a causa della Sua pienezza. [Questo costituisce il mantra so’ham, “Io sono Lui”.] Questo è ānavopāya.
  1. Bhairava dice:
    Para devi o Śakti Suprema che è della natura di visarga1 continua (incessantemente) a esprimersi verso l’alto (ūrdhve) (dal centro del corpo a dvādaśānta2 o una distanza di dodici dita) sotto forma di espirazione (prāna) e verso il basso (adhah) (da dvādaśānta al centro del corpo) sotto forma di inspirazione (jīva o apāna)3. Con la fissazione costante della mente (bharanāt)4 nei due luoghi della loro origine (vale a dire, centro del corpo nel caso di prāna e dvādaśānta nel caso di apāna), c’è la situazione di pienezza (bharitāsthitih che è lo stato di parāśakti o natura di Bhairava)5.
Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Visargātmā – che è della natura di visarga. La parola visarga significa lasciar andare, proiezione o creazione, cioè chi è creativo. La funzione creativa del Divino include due movimenti: verso l’esterno e verso l’interno o centrifugo e centripeto. Negli esseri viventi, il movimento verso l’esterno o centrifugo è rappresentato dall’espirazione o esalazione; il movimento verso l’interno o centripeto è rappresentato dall’inspirazione o dall’inalazione. Parā o parā devī o Parā śakti è designato come visargātmā, perché è con questo ritmo di movimento centrifugo e centripeto che porta avanti il ​​gioco della vita sia nel macrocosmo che nel microcosmo. Questo movimento è noto come uccāra o spandana o incessante pulsare di Parādevī. In sanscrito, visarga è rappresentato da due punti uno sopra l’altro. Un punto in questo caso è dvadasanta dove termina prana e l’altro è hrt o centro del corpo dove termina apāna. È per questi due punti che Parāśakti è conosciuta anche come visargātmā.
2. Dvādaśānta, che letteralmente significa “fine di dodici”, indica il punto a una distanza di 12 dita dalla punta del naso nello spazio esterno dove termina l’espirazione che nasce dal centro del corpo umano e passa attraverso la gola e il naso. Questo è noto come bāhya dvādaśānta o dvādaśānta esterno.
3. L’apāna o inalazione è chiamata jīva, perché è l’inalazione o il movimento di ritorno del respiro che è responsabile della vita.
4. Bharanāt qui significa tramite osservazione ravvicinata o consapevolezza univoca. Consapevolezza di cosa? Sivopādhyāya nel suo commento chiarisce questo punto nel modo seguente:”Bharanāditi qui significa con un’intenta consapevolezza di ciò che implicitamente è il lampo iniziale sempre risorto della śakti di Bhairava.”
5. La dhāranā o la pratica yogica a cui si fa riferimento in questo verso è la seguente:
Ci sono due punti o poli tra i quali la respirazione continua costantemente. Uno di questi è dvādaśānta nello spazio esterno dove prāna o espirazione finisce e l’altro hrt o il centro all’interno del corpo dove apāna o inspirazione finisce. In ognuno di questi punti, c’è viśrānti o riposo per una frazione di secondo. Il respiro non si ferma effettivamente lì del tutto, ma rimane nella forma di un palpito di śakti in animazione sospesa e poi di nuovo inizia il processo di respirazione. Si dovrebbe contemplare śakti che appare nel periodo di riposo e si dovrebbe rimanerne consapevoli anche mentre inizia il processo di respirazione. Con la pratica costante di questa dhāranā si realizzerà lo stato di pienezza di Bhairava (bharitā sthitih).
Poiché questa pratica è senza alcun supporto di vikalpa, è Śāmbhava upāya.
C’è un’altra importante interpretazione di questa dhāranā. Nell’inspirazione, viene prodotto il suono ha; nell’espirazione, viene prodotto il suono sah; nel punto di giunzione al centro si aggiunge il suono m. Quindi l’intera formula diventa Hamsah. Parādevī continua a suonare questa formula o mantra incessantemente in ogni essere vivente. Hrdaya o il centro è il punto di partenza del suono ha e dvādaśānta è il punto di partenza del suono sah. Contemplando questi due punti, si acquisisce la natura di Bhairava. Questo sarebbe ānava upāya. Sah rappresenta Śiva; ha rappresenta Śakti; m rappresenta nara. Quindi in questa pratica, tutti e tre gli elementi principali della filosofia Trika, vale a dire, Śiva, Śakti e Nara sono inclusi.

O radiosa, questa esperienza può albeggiare tra due respiri. Dopo che il respiro è venuto dentro e appena prima che si rivolga in su – il beneficio.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: Quando inspiri, osserva. Per un solo istante, per un attimo infinitesimale, non c’è respiro: prima che risalga, prima che fuoriesca. Un respiro entra, poi c’è un punto in cui si arresta. Poi il respiro fuoriesce e allora, per un istante, un attimo infinitesimale, si arresta. Poi di nuovo entra. Prima che il respiro entri, o prima che esca, vi è una frazione minima di tempo in cui non stai respirando. In quell’istante può accadere l’evento trascendente, perché quando non respiri, non sei nel mondo. Lo si deve comprendere profondamente: quando non stai respirando, sei morto; tu esisti, questo è vero, ma come fossi morto. Ma quell’istante è di così breve durata che non lo si nota mai. Per il Tantra ogni respiro che fuoriesce è una morte, e ogni nuovo respiro è una rinascita. Il respiro che entra è una rinascita, quello che fuoriesce è una morte. Il respiro che esce è sinonimo di morte, quello che entra, di vita.
Perciò con ogni respiro muori e rinasci. L’intervallo tra i due è molto breve, ma un’acuta, sincera osservazione e un’attenzione cosciente te lo faranno percepire. Se riesci a percepirlo, dice Shiva: “Il beneficio”. In quel caso non dovrai fare nient’altro: la beatitudine ti avvolge, hai compreso, hai colto l’eterno. Non occorre educare il respiro. Lascia che scorra liberamente. E’ sufficiente una tecnica così semplice per conoscere la verità?
Sembra semplice! Conoscere la verità significa conoscere ciò che non è nato e che non muore mai, conoscere quell’elemento eterno che esiste sempre. Comunemente si conosce il respiro che esce e che entra, mai l’intervallo tra i due. Prova. All’improvviso comprenderai, è possibile: esiste già. Non devi aggiungere nulla a ciò che sei: tutto è già presente, tranne una sottile consapevolezza. Per praticare questa tecnica, per prima cosa diventa consapevole del respiro che entra. Osservalo. Dimentica ogni cosa: osserva solo il respiro che entra. Sentilo, quando tocca le tue narici. Poi lascialo discendere e muoviti con esso in piena coscienza. Non perderlo, mentre discende: scendi con esso. Ricordati solo di non precederlo e di non restare indietro. Devi solo accompagnarlo. Ricordati: muoviti in simultanea! Respiro e coscienza devono diventare un tutt’uno. Quando il respiro entra in te, anche tu dovresti entrare dentro di te, solo così sarà possibile cogliere il punto d’arresto tra i due respiri. Non sarà facile. Entra con il respiro, poi esci con il respiro: dentro-fuori, dentro-fuori. Fu il Buddha, in particolar modo, a usare questo metodo, pertanto nel mondo lo si conosce come un metodo buddista. Nella terminologia buddista è noto come anapanasati yoga.

L’energia suprema, la cui natura è creare, si manifesta nella respirazione. Mantieni la mente nei due punti di origine dell’inspirazione e dell’espirazione e conosci la pienezza.

La via del reale. Yoga tantrico – Ritorno a sé – Nathalie Delay – OM, 2023

Non rimane che l’invito a praticare, secondo la propria sensibilità.

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Letture e spunti Maestri

Vijñānabhairava Tantra

Il Vijñānabhairava Tantra è un testo tantrico non dualista (Āgama) fondamentale nella scuola Trika presso lo Śivaismo del Kashmir. Maestri di questa tradizione come Somānanda, Abhinavagupta e Ksemarāja lo hanno tenuto in massima considerazione.

Come suggerisce il nome, questo testo appartiene al gruppo di Āgama chiamato Bhairavatantra, laddove Bhairava “il Terribile” è la manifestazione irosa di Śiva “il Tranquillo”.

Il titolo del testo è stato variamente tradotto come “La conoscenza (mistica) della Realtà Ultima”, ma anche “la conoscenza del Tremendo” e “tantra della conoscenza suprema”. Vijñāna implica qui la conoscenza esperienziale, pura coscienza, consapevolezza, piuttosto che conoscenza analitica. Bhairava è il nome dato all’Assoluto, alla Realtà Ultima, in questa tradizione.

Il nome Bhairava si deve a questo, che

a) Egli porta il tutto ed è da esso portato, empiendolo e sorreggendolo da un lato e parlandolo, cioè pensandolo, dall’altro; che

b) protegge coloro che hanno paura della trasmigrazione; che

c) nasce nel cuore dal grido d’aiuto, dal cogitare generato dalla paura della trasmigrazione; che

d) suscita, per mezzo di una caduta di potenza, l’idea della paura della trasmigrazione; che

e) riluce in coloro la cui mente è tutta intesa alla concentrazione (chiamata) “divorazione del tempo”, in coloro cioè che provocano l’esaurimento dell’essenza del tempo, il motore delle costellazioni; che

f) è il signore delle potenze che presiedono agli organi di senso, il cui grido spaventa le anime decadute, le quali si trovano in stato di contrazione, e della schiera quadruplice delle Eterovaghe, ecc. che risiedono interiormente ed esteriormente; che

g) è il Signore che pone termine all’andamento della trasmigrazione e perciò è grandemente terrifico.

Tali i significati, convenienti invero alla sua natura, menzionati dai maestri nelle loro scritture a proposito del nome Bhairava.

Tantrāloka di Abhinavagupta (a cura di Reniero Gnoli) I, 96-100a

Un Āgama śaiva completo consiste normalmente di quattro parti (pāda), destinate rispettivamente al rito (kriyā), alla conoscenza o filosofia (vidyā, jñāna), alla condotta o modo di vita (caryā) e alla pratica spirituale (yoga). Il Vijñānabhairava però si occupa solo dello yoga e lo sfondo filosofico è presupposto ma non spiegato. Il testo è formulato nella modalità del dialogo tra Bhairava e Bhairavī, o Śiva e Śakti. La dea, e con lei ogni ricercatore, chiede la grazia al suo Signore affinché recida i suoi dubbi e le consenta di giungere a realizzare la trascendenza stessa dell’Assoluto.

Devi chiede: “Qual è la tua realtà, mio Signore?. Lui non risponderà, al contrario offrirà una tecnica, e se Devi la sperimenterà a fondo, saprà. La risposta è quindi indiretta, non è immediata, Śiva non dirà chi è, ma darà una tecnica: sperimentala e saprai. Per il Tantra fare è sapere, e non esiste altra conoscenza. A meno che tu non faccia qualcosa, a meno che tu non cambi, a meno che non abbia una diversa prospettiva da cui guardare, con cui guardare, a meno che non ti muova in una dimensione completamente diversa dall’intelletto, non c’è alcuna risposta.

Il libro dei segreti, Osho

Il Vijñānabhairava insegna 112 metodi, o dhāranā, di concentrazione e di unione con l’Assoluto, ciascuno dei quali esprime una via abbreviata per raggiungere l’inesprimibile, conforme alla tradizione immediata ed in contrasto con le esigenze di una graduale e complessa purificazione etica propugnata da altre scuole e tradizioni.

È innanzitutto uno yoga dell’azione nel mondo dei sensi. Per il tantrika non c’è più scissione tra vita mistica e vita fenomenica […] L’ascesi non è più allora intesa come un ritiro dal mondo fenomenico che permetterebbe l’accesso a una purezza divina, ma al contrario come un’immersione integrale in ciò che la vita ha di più palpitante. I metodi dello yoga tantrico esposti nel Vijñānabhairava sono quelli che ci permettono di assaporare l’essenza divina delle cose […] Tutto, per il tantrika, è saturo di essenza divina. Niente è da evitare, niente da cercare. Lo yogin gode di una libertà assoluta […] da ogni limitazione concettuale, da ogni dogma, da ogni credenza.

Tantra Yoga, Daniel Odier

Secondo Ksemarāja il Trika è la rivelazione ultima delle diverse scuole tantriche. Trika, o la scuola triadica, implica le tre categorie ultime Śiva (Signore), Śakti (la sua Energia) e Nara (gli esseri creati, o Uomo). Si riferisce anche alle tre Energie di Śiva: la Suprema (parā, trascendente), suprema-non-suprema o trascendente-immanente (parāparā) e l’immanente o non suprema (aparā).

Secondo la manifestazione triadica di Śakti ai tre livelli sopra menzionati (parā, parāparā, aparā) ci sono anche diversi modi e mezzi (upāya) per realizzare Śiva che sono classificati secondo lo schema di Trika come:

  • i mezzi individuali o inferiori (ānava, corrispondenti ad anu e aparā),
  • i mezzi di Energia (śākta, corrispondenti a śakti e parāparā)
  • e il modo divino (śāmbhava, corrispondente a Śiva e parā).

Questi upāya che troviamo sistematizzati da Abhinavagupta nel suo Tantrāloka, possono essere applicati ai diversi metodi di yoga descritti nel Vijñāna Bhairava, anche se non sono esplicitamente menzionati come tali.

Fonti:

  • Vijñānabhairava – La conoscenza del Tremendo, a cura di Attilia Sironi, Piccola Biblioteca Adelphi
  • Vijñāna Bhairava – The Practice of Centring Awareness, Swami Lakshman Joo, Indica
  • La dottrina della vibrazione nello śivaismo tantrico del Kashmir, Mark S.G. Dyczkowski, Adelphi
  • Gli aforismi di Śiva, Vasugupta, a cura di Raffaele Torella