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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 11 – Śloka 34

Che tu stia affrontando la sfida di una mente irrequieta, che salta continuamente da un pensiero all’altro, o che tu sia alla ricerca di una pratica meditativa breve e accessibile da integrare nella tua routine quotidiana, l’undicesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui), potrebbe essere la risposta ideale. La sua semplicità la rende particolarmente adatta sia per calmare una mente agitata che per creare momenti di presenza consapevole durante la giornata, indipendentemente da dove ti trovi.

Portare la consapevolezza all’interno del cranio non solo richiama la nostra mortalità, ma invita anche a riconoscere il potenziale per una connessione diretta con l’Assoluto. Attraverso stabilità, rilassamento e attenzione focalizzata, questa tecnica può condurre verso la realizzazione del lakṣya uttama, l’obiettivo supremo.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

34. Proiettata la mente dentro il cranio, stando immobile con gli occhi chiusi, grazie a un’intensa applicazione mentale si discerne gradualmente la meta suprema.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

La parola kapāla, cranio, viene artificiosamente spiegata da Śivopādhyāya come formata da ka, «potenza», e da pālaka, «protettore», cioè Śiva. Lo yogin in questo senso deve proiettare la mente sull’unione di Śiva con la sua potenza (rappresentata visivamente dal cranio), essenziati rispettivamente di luce e pensiero.

34. Fissando la mente nello spazio interiore del cranio e rimanendo seduti immobili con gli occhi chiusi, gradualmente, attraverso la stabilità della mente, si raggiunge la meta suprema.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: […] Devi mantenere la tua mente […] nel vuoto del cranio, ma devi vedere che c’è fuoco che splende tutto intorno, nel tuo
cranio. Questo non è un atto immaginativo, ma una percezione diretta del fuoco di cit, la Kundalini ascendente (ūrdhva-kundalinī), che rappresenta il cit-prakāśa, la luce della coscienza pura.

34. Fissando l’attenzione sull’interno¹ del cranio (kapāla) e sedendo con gli occhi chiusi², con la stabilità della mente³, si discerne gradualmente ciò che è più eminentemente discernibile⁴.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Sull’interno significa sulla Luce che è sempre presente all’interno.
2. Con gli occhi chiusi significa distaccato dal mondo esterno e completamente introverso.
3. La mente è, all’inizio, molto volubile, ma con la pratica costante, acquisisce stabilità e quindi ci si può concentrare con fermezza.
4. Questo significa che si diventa consapevoli della più alta Realtà spirituale.
Questa dhāraṇā rientra nello Śaktopāya.

Rimanendo con gli occhi chiusi, fissa l’attenzione all’interno del cranio (kapāla); attraverso una graduale crescente stabilità della mente, percepirai ciò che è più degno di essere percepito.

Christopher D. Wallis

Un aspetto particolarmente interessante di questo verso è l’uso del termine kapāla. Mentre potrebbe essere semplicemente tradotto come “cranio”, il termine ha una ricca storia nella tradizione tantrica. Kapāla si riferisce specificamente alla coppa-cranio, un oggetto rituale utilizzato dai praticanti tantrici, in particolare dai kāpālikas (coloro che portano una coppa-cranio) e ancora oggi dagli Aghori e dai buddhisti tibetani.

La scelta di questo termine specifico non è casuale. Al tempo della composizione del testo, i kāpālikas erano diffusi in tutta l’India, e l’uso di questa parola avrebbe immediatamente evocato nei lettori dell’epoca l’immagine di questi asceti che portavano coppe ricavate da crani umani. Questo riferimento serve come potente promemoria della natura transitoria dell’esistenza umana.

Ecco un modo per procedere:

  • Rilassa la mascella: Lascia cadere la mascella in modo che le labbra si separino leggermente.
  • Posizione della lingua: Posiziona la punta della lingua sul palato, nel punto più comodo del palato duro, orientandola verso la corona della testa.
  • Rilassa gli occhi: Permetti agli occhi di “ammorbidire” il loro focus, dirigendoli idealmente verso la parte posteriore della testa.
  • Focalizzazione interiore: Proietta la consapevolezza verso il centro dell’interno del cranio, il punto più profondo di quel “vuoto”. Potresti avvertire un leggero formicolio o la sensazione che il respiro fluisca dentro e fuori dalla corona della testa.
  • Mantenimento: Rimani focalizzato su quel punto. Se l’attenzione si sposta, riportala delicatamente indietro senza forzare.

La pratica lavora con il punto del brahma-randhra, l'”apertura dell’assoluto”, situato nella corona della testa: un’apertura energetica che può portare a esperienze di profonda connessione con il tutto.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 10 – Śloka 33

La decima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci invita a una pratica di dissoluzione progressiva della mente. Il processo citato ci connette direttamente al verso precedente (Śloka 32), dove viene descritto un metodo graduale di meditazione e dissoluzione (laya-yoga) che, passando da un campo sensoriale all’altro, implica un lasciar andare e un ricevere. La mente pensante, normalmente agitata e dispersa, trova negli oggetti di concentrazione — uno spazio vuoto, un muro bianco, o un vaso ben formato — un substrato su cui dissolversi spontaneamente. In questo stato di dissoluzione (svayam līnā), l’esperienza dello stato di Bhairava emerge come il dono supremo.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

33. In base ad un simile processo [cioè, di grado in grado], la meditazione, qualunque ne sia il supporto – il vuoto, un muro, il vaso supremo (pātra) -, dissoltasi di per se stessa (svayamlīnā), conferisce il sommo bene.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

Il tema lī- (ed il sostantivo laya), ricorrente in molte stanze di quest’opera, è usato nel senso di «dissolver-si», «assorbirsi», «riposarsi» nella suprema realtà (si veda, sopra, l’Introduzione, p. 17).
Il «vaso supremo» è probabilmente il vaso sacrificale, che in molti riti è contemplato in identità con la coscienza. Śivopādhyāya interpreta diversamente, e per «vaso (o recipiente) supremo» intende un discepolo, ecc., la cui mente sia priva d’ogni macchia.

33. Allo stesso modo, se si concentra la propria consapevolezza su qualcosa, che sia uno spazio vuoto, un muro, o un discepolo meritevole, questa (energia della concentrazione) si dissolverà da sola e conferirà grazia.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Adottando questo metodo […] ogni volta che ti concentri su questa consapevolezza o pensiero focalizzato, puoi fissarla sul vuoto, su un muro, o sulla coscienza del tuo discepolo preferito. L’Energia del Signore Śiva si rivela lì e allora. Questa energia, rivelata nel vuoto che è stato oggetto della pratica, è dispensatrice di doni. […] Puoi concentrare questa focalizzazione unica sul vuoto del cielo, o su un muro, o sul cuore di un discepolo.

33. In questo modo, successivamente1, ovunque ci sia consapevolezza sul vuoto, su un muro, o su alcune persone eccellenti2, quella consapevolezza si assorbe nel Supremo e offre il più alto beneficio3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Proprio come vi è concentrazione in passaggi successivi su mūlādhārajanmakandanābhihṛdayakaṇṭhatālubhrūmadhyalalāṭabrahmarandhraśakti e vyāpinī nel proprio corpo, così si può praticare la concentrazione in passaggi successivi anche fuori dal corpo, ad esempio su un vasto spazio vuoto o su un alto muro.
2. Pare pātre: qui pātra significa persona adatta o competente; pare pātre significa su una persona eccellente e competente, ad esempio su un discepolo puro di mente.
3. La più alta esperienza spirituale è qui indicata come il massimo beneficio.
La dhāraṇā sopra riportata inizia con āṇava upāya e infine si dissolve nello śāktopāya.

Con questo stesso processo, in qualunque [substrato] la mente pensante si dissolva spontaneamente, che sia uno spazio [interiore], un muro [vuoto] o un vaso dalla forma perfetta, tale dissoluzione conferisce il dono [dello stato di Bhairava].

Christopher D. Wallis

Un aspetto cruciale dell’interpretazione riguarda il termine para pātra. Esso può essere inteso letteralmente come “vaso perfetto” o metaforicamente come “una persona degna” o “un discepolo dal cuore puro”. I commentatori tradizionali tendono a interpretarlo in senso metaforico, vedendo nel testo un manuale per il guru. Tuttavia, un’interpretazione letterale — riferita a un recipiente fisico — sembra altrettanto valida e ci riporta a pratiche simili a quelle dello Zen, dove si medita su oggetti semplici e concreti, come una ciotola vuota.

Un’altra chiave interpretativa è offerta dal commentatore che associa questa pratica alla meditazione sui 12 cakra, descritti nei versi precedenti (Śloka 28 e seguenti). I cakra sono intesi come spazi aperti nel corpo, ma qui il commentatore suggerisce che si possa meditare anche sui cakra di un’altra persona, come il proprio guru o un discepolo degno (para pātra). Questo implica una pratica relazionale, in cui la connessione tra maestro e discepolo diventa il substrato della meditazione.

Che si tratti di uno spazio vuoto, un muro o un recipiente ben formato, il processo è sempre lo stesso: lasciar andare, ricevere, e permettere alla mente di dissolversi spontaneamente. In questo abbandono, si manifesta lo stato di Bhairava, il dono supremo della consapevolezza illuminata.

La semplicità di questa pratica è il suo potere. Non servono tecniche complicate o supporti esterni come mantra o controllo del respiro. Tutto ciò che è richiesto è un’intenzione focalizzata e un completo abbandono al processo, permettendo alla mente di fondersi con il Supremo.

Questo verso, pur radicato nella tradizione tantrica, risuona con pratiche contemplative di altre tradizioni, come lo Zen, dimostrando l’universalità dell’esperienza meditativa. Il Vijñāna-bhairava Tantra ci ricorda che il divino è ovunque: in uno spazio vuoto, in un muro bianco, o in un semplice vaso.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 9 – Śloka 32

La nona delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) è tanto profonda quanto poetica: usa l’immagine delle piume di pavone come metafora per guidarci verso una profonda esperienza di consapevolezza.

Se osserviamo una piuma di pavone, notiamo una serie di cerchi concentrici dai colori vivaci che culminano in un intenso blu cobalto al centro. Questa struttura naturale diventa un potente strumento di visualizzazione per la pratica meditativa e può ispirare una forma di Laya Yoga, lo “yoga della dissoluzione”. Nel contesto tantrico, laya significa letteralmente “dissoluzione” o “assorbimento”, e si riferisce al processo di dissoluzione graduale della coscienza ordinaria nei suoi componenti più sottili, fino a raggiungere lo stato di pura consapevolezza (Bhairava).

Il concetto di “spazio” (śūnya) nella tradizione tantrica è profondamente significativo. Non si riferisce semplicemente al vuoto fisico, ma a un campo di potenzialità pure dove la percezione e l’esperienza possono manifestarsi. Ogni apertura sensoriale è considerata uno “spazio” (śūnya) o un “cerchio” (maṇḍala), un campo dove si manifesta un aspetto specifico della nostra esperienza.

La tradizione tantrica stabilisce una corrispondenza tra i cinque elementi (mahābhūta) e i cinque sensi o cinque spazi (con riferimento alle nostre aperture sensoriali):

  • La terra (pṛthivī) corrisponde all’olfatto (naso)
  • L’acqua (ap) corrisponde al gusto (bocca)
  • Il fuoco (tejas) corrisponde alla vista (occhi)
  • L’aria (vāyu) corrisponde al tatto (superficie corporea)
  • Lo spazio (ākāśa) corrisponde all’udito (orecchie)

Proprio come i cerchi della piuma di pavone si fondono l’uno nell’altro, il processo di dissoluzione dei campi sensoriali segue un ordine preciso e non arbitrario, che riflette la struttura sottile della coscienza secondo la comprensione tantrica. I sensi più grossolani si dissolvono in quelli più sottili, culminando nell’esperienza del “Vuoto Supremo” (anuttara śūnya).

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

32. Per colui che medita la pentade dei vuoti, giovandosi degli occhi policromi della coda del pavone, in invera, nel cuore, una penetrazione del vuoto senza superiore.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: I cinque vuoti sono, secondo Śivopādhyāya, i cinque organi di senso, considerati come vuoti, insostanziali.
Il variegato e gatteggiante ovale che orna le penne caudali del pavone è considerato dallo yogin come un maṇḍala naturale, che serve da supporto alla meditazione sulla vacuità, la quale designa, in queste scuole, la coscienza di là da ogni immagine oggettivata, paragonata ad un etere senza macchia.
Il termine anuttara, «senza superiore», viene usato, nei testi śivaiti, per designare la realtà suprema.
Abhinavagupta, nel suo «Commento lungo» alla Parātriṁśikā, lo spiega in sedici differenti modi, basandosi di volta in volta su una diversa etimologia (si veda PTV, pp. 19 sgg.).

32. Meditando sui cinque vuoti dei sensi, che sono come i vari colori delle piume del pavone, lo yogi entra nel Cuore del Vuoto assoluto.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: […] I cinque organi dei sensi sono come le ali o le piume di un pavone. Quando i cinque organi sono diretti ai loro rispettivi oggetti, considera che l’oggetto percepito dall’occhio, dall’orecchio,
dal naso, dalla pelle (attraverso il tatto) o dalla lingua, è soltanto śūnya, vuoto. Non c’è nulla in esso. È soltanto vuoto: tutti questi oggetti sono vuoti. Senza permettere alla tua coscienza di essere influenzata da questi oggetti, devi concentrarti simultaneamente su questi cinque
e realizzare che essi sono soltanto vuoto e nient’altro. […]
E cosa succede? Entrerai in quel Cuore supremo che è pieno di vuoto, e quel Cuore supremo è il Signore Śiva. Entrerai in quell’anuttara, il Cuore supremo, śūnya. È assolutamente puro śāktopāya

32. Lo yogi dovrebbe meditare nel suo cuore sui cinque vuoti1 dei cinque sensi, che sono come i cinque vuoti che appaiono nei cerchi2 delle piume variegate dei pavoni. In questo modo, sarà assorbito nel Vuoto Assoluto3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Cinque vuoti o śūnya-pañcakam: Questo significa che il yogi dovrebbe meditare sulle cinque sorgenti ultime dei cinque sensi, ovvero i cinque tanmātra: il suono in sé, la forma in sé, ecc., che non hanno un’apparenza concreta e sono meri vuoti. […]
2. Cerchi – maṇḍala: Anche il termine maṇḍala ha un doppio significato. Nel caso del pavone, si riferisce ai cerchi delle sue piume; nel caso del yogi, si riferisce ai sensi. […]
3. Il Vuoto Assoluto è Bhairava, che è al di là dei sensi e della mente, al di là di tutte le categorie di questi strumenti. Dal punto di vista della mente umana, Egli è il Vuoto assoluto. Dal punto di vista della Realtà, Egli è pienezza assoluta, poiché è la sorgente di tutta la manifestazione.

Meditando sui Cinque Spazi come i cerchi colorati delle piume del pavone, si entra nel Cuore, lo Spazio Supremo.

Christopher D. Wallis

Ecco una versione semplificata e accessibile di questa antica pratica:

  • Campo Visivo: Iniziate osservando l’intero campo visivo simultaneamente, includendo anche la visione periferica. Non concentratevi sui dettagli, ma sulla totalità dell’esperienza visiva.
  • Esperienza Olfattiva: Chiudete gli occhi e spostate l’attenzione al senso dell’olfatto, percependo gli aromi presenti nell’ambiente o semplicemente concentrandovi sul respiro che fluisce attraverso le narici.
  • Transizione al Gusto: Gradualmente, fate confluire questa consapevolezza nel senso del gusto. Diventate consapevoli delle sensazioni nella bocca e sulla lingua.
  • Sensazioni Tattili: Espandete la consapevolezza all’intero campo delle sensazioni corporee – il contatto con i vestiti, la temperatura dell’aria, il movimento del respiro nel corpo.
  • Dimensione Sonora: Infine, lasciate che tutte queste sensazioni si fondano nel campo sonoro. Ascoltate non solo con le orecchie, ma con tutto il corpo, includendo anche il silenzio che fa da sfondo a ogni suono.

Il culmine della pratica, l’entrata nello “Spazio Supremo” (anuttara śūnya), associato al colore blu cobalto presente anche al centro della piuma di pavone e caratteristico di Śiva stesso, rappresenta nella tradizione tantrica il riconoscimento della natura fondamentale della coscienza stessa. Questo stato non è un vuoto nichilistico, ma piuttosto la fonte viva di ogni esperienza, ciò che i tantrici chiamano Bhairava, la coscienza pura e indifferenziata.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 8 – Śloka 31

L’ottava delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) descrive una pratica avanzata nota come Khecarī Mudrā, una tecnica esoterica che nel Tantra classico simboleggia il volo della coscienza oltre i limiti del corpo e della mente e che consente allo yogi di realizzare la propria natura onnipervasiva e libera, come un cielo senza confini.

Il verso 31 del Vijñāna Bhairava Tantra è un invito a trascendere i limiti della mente ordinaria e a sperimentare la propria essenza come pura coscienza. Sebbene questa pratica sia avanzata e richieda la guida di un maestro esperto, la sua descrizione offre ispirazione per approfondire la relazione tra respiro, energia e consapevolezza.

Come sempre, è essenziale affrontare queste tecniche con rispetto e prudenza, lasciandosi guidare dalla saggezza della tradizione e dall’esperienza diretta.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

31. Riempiendo rapidamente per mezzo di essa lo dvādaśānta, attraversatolo con quel ponte che è la contrazione delle sopracciglia, e resa così la mente priva di pensiero discorsivo, si invera, nel punto più alto di tutto, il sorgere dell’onnipervadenza.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

Con il pronome « essa » ci si riferisce alla potenza del soffio vitale, che vien meditata ascendente attraverso i cakra e sospinta verso l’ultimo, lo dvādaśānta, in virtù della contrazione delle sopracciglia (bhrūkṣepa) che, simile ad un ponte teso su di una corrente d’acqua, sospinge l’energia del soffio vitale nel supremo etere. In altri termini, la potenza del soffio vitale, prima di arrivare allo dvādaśānta, deve passare di là dalle sopracciglia, ‘traforare’ la ruota che si trova nel mezzo delle sopracciglia.

31. Avendo riempito (il corpo fino a) mūrdhānta con la stessa energia del respiro e attraversandolo come un ponte, contraendo le sopracciglia e liberando la mente dai pensieri, si diventa onnipervadenti nel più alto stato.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Questo è il cammino dell’anavopāya senza successione. Il cammino precedente era quello con successione. […] con quella energia del prāṇa (respiro), devi riempire il corpo fino a Śakti, dopo aver sospeso il movimento del respiro […] devi concentrarti solo sul centro delle sopracciglia. […] Non è kumbhaka. È univocità. […] Dopo che è sospeso, devi fare in modo che la tua mente diventi completamente priva di pensieri […]
Quando sei in quello stato supremo di Signore Śiva […] significa che l’onnipervadenza splende. Egli diventa onnipervadente in quello stato supremo. Questo è il cammino dell’anavopāya perché devi praticare con il respiro. […] Quando c’è solo concentrazione sul vuoto, allora sarà sempre śaktopāya.

31. Riempendo il mūrdhānta (lo spazio della sommità della testa) con la stessa energia prāṇica e attraversandolo mediante la contrazione “ponte” delle sopracciglia (bhrūkṣepa), la mente deve essere liberata da ogni costruzione dicotomica. La coscienza ascenderà al di sopra del dvādaśānta, facendo emergere la sensazione di onnipresenza.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Mūrdhānta: Indica il dvādaśānta, situato sopra il brahmarandhra, uno spazio di dodici dita sopra il centro delle sopracciglia.
2. Bhrūkṣepa: Tecnica esoterica in cui la contrazione delle sopracciglia funge da ponte per trasformare l’energia prāṇica in citśakti, sollevando la coscienza a livelli superiori.
Questa pratica appartiene al percorso esoterico del śāktopāya.

Dopo aver riempito rapidamente (il corpo fino alla Cavità di Brahmā) sulla sommità della testa con quella (stessa energia del respiro vitale) e averlo attraversato (con) il ponte (formato dalla) contrazione delle sopracciglia, liberando la mente dal pensiero, l’onnipresente emerge sopra tutte (le cose).

Mark Dyczkowski

Avendo rapidamente riempito [il canale centrale] con quell’energia, e avendo poi sfondato la sommità della testa [o brahmarandhra] per mezzo della “diga” di concentrazione tra le sopracciglia, [e] avendo [in tal modo] liberato la mente dal suo pensiero incantato, si ascende allo stato onnipervasivo (vyāpinī) nel [luogo] al di sopra di tutto. 

Christopher D. Wallis

Un’immagine ricorrente nei commentari è quella della diga che blocca temporaneamente il flusso dell’acqua, per poi rilasciarla al momento opportuno. Qui la diga rappresenta il controllo del respiro e della concentrazione mentale, che accumulano energia fino al momento in cui questa viene rilasciata verso i centri superiori.

Nel Tantrāloka, Abhinavagupta ci informa che “di tutte le mudrā, la principale è l’eterovaga (khecarī)”e ne espone le numerose varietà trattate nei Tantra classici. In particolare descrive una pratica che ci ricorda quella del nostro śloka:

«Lo yoghin (così nel Mālinīvijaya), lo yoghin, postosi nella positura del loto, deve applicare la mente all’ombelico e quindi, in forma di asse, elevarla via via fino ai tre fori, dove, fermatala, deve poi di nuovo spingerla velocemente attraverso (gli altri) tre fori. Grazie all’esecuzione di questa mudrā lo yoghin vaga nell’etere»

Luce delle sacre scritture (Tantrāloka) di Abhinavagupta, XXXII, 10b-12a (a cura di Ranierio Gnoli) – UTET

Secondo i commentari classici, la pratica si svolge in tre fasi principali:

  1. Riempimento del canale centrale: Il praticante riempie il canale centrale con l’energia vitale (prāṇa-śakti) inspirando dalla base del busto (pavimento pelvico) fino al ponte del naso.
  2. Concentrazione tra le sopracciglia: Attraverso la tecnica di concentrazione sul terzo occhio (bhrūkṣepa) e la ritenzione del respiro (kumbhaka), la mente viene liberata da ogni pensiero.
  3. Ascesa dell’energia: Con un’espirazione controllata, l’energia rompe la “diga” a livello del ponte del naso e si eleva verso l’alto e verso l’esterno dalla sommità della testa, espandendosi in una consapevolezza infinita e onnipervadente.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Mantra Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 7 – Śloka 30

La settima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) lavora con un sistema di dodici cakra (centri energetici) associati a degli specifici fonemi e può essere considerata una pratica mantrica avanzata. Le vocali sanscrite, considerate sacre, sono viste come manifestazioni del suono primordiale (śabdarāśi) e come vibrazioni divine.

Per ciascun cakra oggetto di contemplazione si attraversano tre livelli di consapevolezza:

  • Grossolano (sthūla): in cui ci si focalizza sull’aspetto fisico o manifesto del cakra.
  • Sottile (sūkṣma): si percepisce il centro energetico come vibrazione o pulsazione.  
  • Supremo (para): si sperimenta il cakra come pura coscienza divina.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

30. Superando via via le dodici successioni, caratterizzate dai dodici fonemi, in base a una progressione di grosso, sottile, supremo, alla fine si invera Śiva.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:
I dodici fonemi meditati sui cakra sono A, Ā, I, Ī, U, Ū, E, AI, O, AU, AM, AH.
Questi fonemi si manifestano prima nel loro aspetto grosso, cioè percepibile all’udito, poi come potenze del nostro stesso pensiero ed infine come aspetti o organi della volontà divina, in corrispondenza coi tre stadi della parola o vocalità, cioè la parola corporea (vaikharī), la parola mezzana (madhyamā) e la parola veggente (paśhyantī).

30. Ci sono dodici centri successivi associati a dodici lettere, su cui ci si dovrebbe concentrare nei loro stati grossolano, sottile e supremo (rispettivamente). Trascendendo ciascun centro (successivamente), alla fine si realizza Śiva.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue:
[…] Esistono dodici stati successivi, krama-dvādaśakam, cioè un krama a dodici fasi. Questi dodici processi successivi, krama, sono spiegati nel commento. I punti sono: janmāgra, mūla, kaṇḍa, nābhi, hṛt, kaṇṭha, tālu, bhrūmadhya, lalāṭa, brahmarandhra, śakti e vyāpinī. […] Questi sono i dodici krama successivi, e questi dodici stati sono rappresentati dalle dodici vocali. […] Praticate e processate questi stati con consapevolezza grossolana, consapevolezza media e consapevolezza suprema.

30. Dodici centri di energia1 progressivamente più elevati associati a dodici lettere2 successive dovrebbero essere oggetto di appropriata meditazione. Ognuno di essi dovrebbe essere inizialmente contemplato in una fase grossolana, poi, abbandonata questa, in una fase sottile, e infine, lasciata anche questa, nella fase suprema, fino a quando il meditante si identifica completamente con Śiva.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. I dodici centri energetici successivi (krama-dvādaśakam) sono: 1 Janmāgra, 2 Mūla, 3 Kaṇḍa, 4 Nābhi, 5 Hṛdaya, 6 Kaṇṭha, 7 Tālu, 8 Bhrūmadhya, 9 Lalāṭa, 10 Brahmarandhra, 11
Śakti, 12 Vyāpinī. Questi sono conosciuti come dvādaśasthāna o i dodici stadi. Rappresentano le fasi dell’ascesa della kuṇḍalinī e corrispondono a dodici vocali.
I primi quattro stadi o stazioni o centri di energia sono inferiori (apara) e riguardano bheda o differenza:
I. Janmāgra: situato a livello dell’organo generativo, legato al janma (nascita). È conosciuto anche come janmādhāra (base della generazione) o janmasthāna (stazione coinvolta nella generazione).
II. Mūla: generalmente noto come mūlādhāra, il centro della radice, situato nella regione spinale sotto i genitali.
III. Kaṇḍa: una radice bulbosa o tuberosa, così chiamata per il suo intreccio di numerosi nervi.
IV. Nābhi: l’ombelico, vicino al Maṇipura cakra.
I cinque stadi successivi (parā-para) riguardano energie più sottili conosciute come bhedābheda:
V. Hṛd: il cuore.
VI. Kaṇṭha: la cavità alla base della gola.
VII. Tālu: il palato.
VIII. Bhrūmadhya: il centro tra le sopracciglia.
IX. Lalāṭa: la fronte.
Gli ultimi tre stadi riguardano energie sotto forma di parā o abheda:
X. Brahmarandhra: l’apice del cranio.
XI. Śakti: energia pura non costituente del corpo.
XII. Vyāpinī: l’energia che appare quando la kuṇḍalinī completa il suo viaggio.
2.Le dodici lettere successive sono le seguenti dodici vocali: a, ā, i, ī, u, ū, e, ai, o, au, am, aḥ. Queste vocali devono essere meditate nei suddetti dodici stadi della kuṇḍalinī.
Questa pratica (dhāraṇā) nella sua forma grossolana consiste in āṇavopāya, mentre nella sua forma sottile e suprema consiste in śāktopāya.

E nel concreto? Un suggerimento per la pratica potrebbe essere il seguente:

  • Siediti in una posizione stabile e confortevole. Mantieni la schiena dritta e il corpo il più immobile possibile.  
  • Chiudi gli occhi e rilassati, lasciando che il respiro fluisca naturalmente.  
  • Visualizza ciascuno dei dodici cakra, uno alla volta, dalla base alla sommità, come una sfera luminosa, intonando la vocale sanscrita corrispondente ad alta voce, focalizzandoti sull’energia e sulla vibrazione.  
  • Ripeti la pratica in silenzio, lasciando che le vocali risuonino interiormente come una pulsazione sottile, cercando di percepire la qualità energetica di ogni vocale in ciascun cakra.  
  • Alla fine, visualizza tutti i dodici cakra insieme, brillanti, purificati e pieni di luce, mantenendo la consapevolezza simultanea di tutti i cakra.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 6 – Śloka 29

La sesta delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) descrive un’esperienza meditativa in cui l’energia divina, chiamata śakti, si muove attraverso i centri sottili (cakra) del corpo in una sequenza ascendente. L’energia è visualizzata o percepita come un lampo, rapido e vibrante, che collega ciascun cakra al successivo fino a raggiungere il dvādaśānta. Quest’ultimo si trova a circa dodici dita, o tre pugni, sopra la corona della testa.

La conclusione del movimento energetico porta alla “Grande Alba” (mahodayā), un termine che allude a uno stato di liberazione spirituale, risveglio completo o illuminazione. Questo processo non è solo simbolico, ma può essere vissuto come un’esperienza concreta.

Il verso evidenzia la natura dinamica del percorso energetico e riflette l’essenza del tantrismo: utilizzare il corpo e il sistema energetico come strumenti per trascendere la dualità e accedere a stati di unità divina.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

29. [Questa potenza giova meditarla] ascendente, simile a un lampo, via via attraverso le varie ruote, su su fino allo dvādaśānta: così, alla fine, si invera il grande sorgere [di Bhairava).

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989

29. (Si mediti su) la Śakti ascendente nella forma di un lampo, mentre si muove verso l’alto da un cakra all’altro fino a raggiungere dvādaśānta. Alla fine si manifesta il grande Risveglio.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: La Śakti sorge, udgacchantīṃ, e appare nella forma di un lampo. Essa non si muove direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra, ma ascende in maniera successiva (praticakram). Questo è il movimento del prāṇa-kuṇḍalinī. Ad esempio, sale dal mūlādhāra-cakra al cakra dell’ombelico [nābh], dall’ombelico al cuore [hṛdaya], dal cuore alla gola [kaṇṭha], dalla gola al bhṛūmadhya, e dal bhṛūmadhya al brahmarandhra.

29. Medita su quella stessa Śakti simile a un lampo (cioè Kuṇḍalinī), che si muove verso l’alto passando successivamente da un centro di energia (cakra) all’altro, fino a tre pugni sopra, ovvero dvādaśānta. Alla fine, si può sperimentare la magnifica ascesa di Bhairava.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Questo dvādaśānta si riferisce anche al brahmarandhra.
2. Qui si descrive l’ascesa della Kuṇḍalinī che, perforando successivamente tutti i cakra o centri di energia, alla fine si dissolve nel brahmarandhra. Questo processo è noto come prāṇa-kuṇḍalinī.
La differenza tra questa dhāraṇā (tecnica meditativa) e quella precedente consiste nel fatto che, in questa pratica, la Kuṇḍalinī si muove successivamente attraverso i cakra e alla fine si dissolve nel brahmarandhra, mentre nella precedente dhāraṇā, la Kuṇḍalinī sorge direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra e si dissolve in esso senza passare attraverso i cakra intermedi.
Jayaratha cita questa tecnica nel suo commento al Tantrāloka (v. 88). Questo è śaktopāya.

29. (Contempla Kuṇḍalinī, il potere del respiro vitale) nella forma di un lampo, che ascende attraverso ciascun Cakra (uno dopo l’altro) in ordine, fino al limite superiore dei Dodici, finché, alla fine, avviene il Grande Risveglio!

Mark Dyczkowski

Immagina la Śakti che sorge come un lampo, passando da un centro sottile (cakra) al successivo in successione. Quando raggiunge il centro più alto, tre pugni sopra la corona, si verifica la Grande Alba della liberazione [e prosperità].

Christopher D. Wallis

Nessuna frustrazione se inizialmente non si sente nulla di concreto. La pratica usa l’immaginazione come strumento per focalizzare la coscienza, creando una “mappa” che l’energia seguirà. La frequentazione regolare di questa dhāranā consentirà la transizione dall’immaginazione ad una esperienza diretta chiara e palpabile.

Per ulteriori approfondimenti circa l’ascesa di Kuṇḍalinī è possibile fare riferimento al Tantrāloka di Abhinavagupta e al suo commento, il Tantrālokaviveka di Jayaratha (in particolare versi 88 e 89).

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 5 – Śloka 28

La quinta delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) introduce un’importante pratica tantrica incentrata sulla risalita dell’energia, o ascesa di Kuṇḍalinī, attraverso il canale centrale (madhya-nāḍī) e descrive un metodo per raggiungere uno stato di consapevolezza intensificata, espansa, spaziosa, aperta, di quiete gioiosa e beata (stato di Bhairava).

Prima di affrontare la lettura del testo vale forse la pena ricordare alcuni elementi essenziali.

Il Canale Centrale:

  • Non coincide con la colonna vertebrale come spesso erroneamente interpretato nello yoga moderno; piuttosto la spina dorsale è un riverbero fisico del canale centrale, che è una realtà energetica sottile;
  • È perfettamente dritto e corre dal pavimento pelvico (ad indicare che l’energia sessuale è intimamente correlata a Kuṇḍalinī-śakti) alla sommità della testa per la larghezza circa di un dito;
  • La sua importanza è una caratteristica distintiva dello yoga tantrico.

La Kuṇḍalinī:

  • All’epoca della redazione del testo (IX secolo) aveva un significato diverso dall’attuale;
  • Si riferiva principalmente all’energia collegata alla risonanza e alla vibrazione mantrica e al potere fonemico, non all’energia più in generale, come normalmente intesa oggi.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

28. Su dalla radice, luminosa di raggi, più sottile del sottile, giova meditare come questa [potenza] si acquieti alla fine nello dvādaśānta: in tal modo si ha il sorgere di Bhairava.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: In questa e nelle seguenti stanze si allude a pratiche meditative connesse con il risveglio della kuṇḍalinī. La kuṇḍalinī è l’energia vitale (qui identificata con la potenza del soffio vitale) che, rappresentata da un serpente arrotolato, riposa assopita alla radice della spina dorsale, sotto i genitali. Lo yogin, risvegliatala, la sospinge verso la sommità del capo, dove essa fuoriesce attraverso il foro di Brahmā [brahmarandhra, per librarsi nell’etere sovrastante e riunirsi, nello dvādaśānta, con Śiva. Il percorso ascensionale della kuṇḍalinī è scandito dalle ruote o cakra che, in diverso numero secondo le scuole, sono disposte lungo l’asse centrale fisicamente identificato con la spina dorsale. Ogni ruota deve essere meditata proiettando su di essa via via differenti fonemi o mantra.

28. Medita sulla Śakti che sorge dal mūlādhāra (cakra), luminosa come i raggi del sole, e che diventa sempre più sottile fino a dissolversi nello dvādaśānta. Allora sorgerà lo stato di Bhairava.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Questo è lo stato in cui ci si concentra su quella prāṇa-śakti che sorge nella forma di kuṇḍalinī. Dal mūlādhāra cakra allo ūrdhva-dvādaśānta […] ūrdhva-dvādaśānta corrisponde qui al brahmarandhra. La kuṇḍalinī sorge dal mūlādhāra […] Non si solleva lungo il percorso del respiro, ma si innalza direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra […]. Devi contemplare quella prāṇa-śakti che sorge dal mūla […], nella forma di raggi. E quei raggi sono i più sottili […]. Quando contempli quella prāṇa-śakti in questo modo […], quando quella prāṇa-śakti prende dimora nel brahmarandhra […] e si placa lì, stabilendosi in completa tranquillità, lo stato di Bhairava viene rivelato. Questo è l’innalzamento della prāṇa-śakti nella forma di kuṇḍalinī.

28. Medita sulla Śakti1 che sorge dal mūlādhāra cakra2, scintillante come i raggi del sole, e che diventa sempre più sottile fino a dissolversi nello dvādaśānta3. Così si manifesta Bhairava4.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Śakti qui si riferisce alla prāṇa-śakti, che risiede come prāṇa-kuṇḍalinī nell’interno del corpo. La kuṇḍalinī giace avvolta in 3 giri e mezzo nel mūlādhāra.
2. Il mūlādhāra cakra si trova nella regione spinale sotto i genitali. Un cakra è un centro di energia prāṇica situato nel prāṇamaya kośa, all’interno del corpo. Questa pratica (dhāraṇā) riguarda l’innalzamento della kuṇḍalinī, che in un lampo raggiunge il dvādaśānta (o brahmarandhra, il cakra situato sulla sommità del capo) e si dissolve in esso. Questo fenomeno è noto come cit-kuṇḍalinī o akrama kuṇḍalinī, ossia la kuṇḍalinī che non passa successivamente attraverso i cakra ma va direttamente al brahmarandhra.
3. Dviṣaṭkānte (due volte sei) indica lo dvādaśānta, che si trova a una distanza di 12 dita dal centro delle sopracciglia (bhrūmadhya).
4. Nello dvādaśānta o brahmarandhra, la kuṇḍalinī si dissolve nel prakāśa (luce di coscienza) che dimora nel brahmarandhra. In quel prakāśa si rivela la natura di Bhairava.
Poiché questa dhāraṇā dipende dalla contemplazione (bhāvanā) della prāṇa-śakti, è considerata un āṇava-upāya. Tuttavia, il Netra Tantra la interpreta come un śāmbhava-upāya.

Si dovrebbe pensare alla luce dei raggi (dell’energia del soffio vitale che brillano) dalla Radice, più sottile del sottile, che si placa nello dvādaśānta (la Fine dei Dodici), dove Bhairava emerge.

Mark Dyczkowski

Immagina la forma più sottile possibile del prāṇa come raggi di luce che brillano verso l’alto dalla radice [del canale centrale] e si dissolvono pacificamente nel centro più alto sopra la sommità del capo; allora sorge Bhairava (la consapevolezza spaziosa).

Christopher D. Wallis

La pratica si adatta al livello di esperienza del praticante. Per i principianti “vedere” questa luce scintillante significa “immaginare”, mentre per i più esperti significa “meditare su” ciò che già sperimentano direttamente.

Questi raggi luminosi seguono un percorso ascendente e gradualmente si dissolvono sopra la corona della testa. Questo punto rappresenta il limite superiore del corpo sottile (talvolta chiamato “aura”), dove la luce si fonde nell’esperienza dell’Assoluto.

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Letture e spunti Maestri Pranayama Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 4 – Śloka 27

La quarta delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) evoca la nostra presenza tranquilla, imperturbabile, eterna sullo sfondo di ogni accadimento. Attingere alla pace profonda è non solo possibile, ma anche immediatamente disponibile. Questa straordinaria scoperta si cela dietro ad ogni respiro e alle sue pause.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

27. Quando [questa potenza del soffio vitale] espirata è trattenuta o inspirata è trattenuta, alla fine di ciò, essa prende il nome di pacificata; e in virtù di questa potenza, uno risplende pacificato.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: «Quando espirata è trattenuta o inspirata è trattenuta», cioè quando la potenza del soffio vitale, nella forma o nel momento dell’espirazione, è trattenuta fuori, nello dvādaśānta, e nella forma o nel momento dell’inspirazione, è trattenuta dentro, nel cuore.

27. Quando (l’Energia del Respiro) viene mantenuta sia all’esterno che all’interno, alla fine (di questa pratica) lo stato di pace viene rivelato per mezzo di Śakti.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Questa è una pratica con un piccolo sforzo, ciò che si chiama hatha yoga. Quando l’inspiro entra e raggiunge il cuore, fermati un attimo e portalo fuori. Quando raggiunge dvādaśānta all’esterno, allora fermati. Aspetta. Non riportarlo dentro rapidamente, aspetta. Quando espiri questa energia del respiro, fermala all’esterno per un po’. Non si tratta di fermarla per sempre. Basta fermarla per mezzo minuto o un quarto di minuto. Quello è kumbhaka. Kumbhaka non é fermare il respiro con tutta la forza, ma solo finché si può farlo facilmente. […]
Fallo per sei ore al giorno. Non è una pratica dannosa. Devi trattenerlo solo per dieci secondi all’esterno e dieci secondi all’interno. […]
Alla fine cosa succede? […] È śanta, lo stato di pace, pieno di pace […] assolutamente tranquillo, calmo. […]
Quindi è ānavopāya che diventa śaktopāya, perché finché c’è kumbhaka è ānavopāya […] c’è il funzionamento della mente. […] E quando raggiungi lo stato di Sadāśiva placato, allora è śaktopāya.

27. Quando Śakti sotto forma di espirazione (recitā) viene trattenuta all’esterno (in dvādaśānta), e sotto forma di inalazione (pūritā) viene mantenuta all’interno (in hrt o al centro), quindi alla fine di questa pratica, Śakti è conosciuta come Śanta o tranquillizzata e attraverso Śakti Śanta Bhairava3 è rivelato.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Per mezzo della pratica continua di kumbhaka o di ritenzione del respiro nel modo di cui sopra, si sperimenta la tranquillità fisica e mentale e si sviluppa madhya daśa. Il senso di bheda o differenza tra prana e apana scompare. Ecco perché questo prāna śakti è conosciuto come śanta.
2. A causa della scomparsa di bheda o della differenza tra prāna e apāna, Śakti è conosciuta comeŚanta o ciò che in questo contesto significa “sotto”, “cessato”.
3. Bhairava (il sé divino) è chiamato Śanta (pace) perché trascende tutti i limiti del nome e della forma e in Lui non c’è traccia di differenza o dualità. Questa dhāranā è un tipo di ānava upāya.

Oppure, quando il respiro è tutto fuori e fermato da sé, o tutto dentro e fermato – in tale pausa universale, il piccolo io di ognuno svanisce. Questo è difficile solo per l’impuro.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: […] Il tuo piccolo io è utile solo nella vita quotidiana: in casi d’emergenza non te ne puoi ricordare. La tua identità, il tuo il nome, il conto in banca, il prestigio: tutte queste cose evaporano nel momento in cui la tua auto si sta schiantando contro un’altra; tra un attimo ci sarà solo la morte. In questo istante ci sarà una pausa, perfino per chi è impuro. All’improvviso il respiro si arresta: se riesci a essere consapevole in quell’istante, puoi raggiungere la meta.
Se la tua mente è pura – pura significa che non stai desiderando, bramando, cercando nulla – silentemente pura, innocentemente pura, puoi essere seduto, e all’improvviso il tuo respiro si ferma. Ricorda: il movimento della mente ha bisogno del movimento del respiro.

27. Alla fine dell’espirazione o dell’ inspirazione il movimento si sospende, l’energia si acquieta. In questa pausa l’istante pacificato si rivela.

La via del reale. Yoga tantrico – Ritorno a sé – Nathalie Delay – OM, 2023
Commentato come segue: Morire alla fine di ogni espirazione. Lasciarsi fondere nel Mriposo che la segue e gustare il sapore unico del proprio annientamento. La speranza di ottenere o di trovare qualcosa, ci lascia. La nostra storia evapora. Viviamo un momento di resa totale, dove il tempo scompare. Assolutamente non misurare il tempo di ritenzione, non cercare di allungarlo: sarebbe un attentato a uno spazio dove il tempo non esiste. Lasciar invece dissolvere le nostre intenzioni. La pausa si allunga da sola, senza sforzo. Questo non-tempo è una porta verso l’Essenziale.
Velocemente può emergere il panico davanti alla sensazione di dissoluzione. Fatichiamo a lasciarci andare e non permettiamo che il vuoto si affermi. Ci affrettiamo a riempirlo con la successiva inspirazione. Eppure, nel vuoto che segue l’espirazione si trova una pienezza che nessun oggetto esterno potrà mai offrirci.
Si tratta della pienezza del nostro essere. Quando il bisogno di considerarci come un’entità autonoma scompare, possiamo fondere nella pura presenza e assaporare il nettare del’ unita.
La pausa dell’espirazione è un momento privilegiato per rendersi conto dell’identità illusoria alla quale siamo legati per incomprensione. In quell’arresto di tutte le attività la nostra vera natura risplende, se le lasciamo lo spazio per farlo. […]

Quando il potere del respiro, chiamato śānta o “quiescente/pacifico” (il potere del respiro in pausa che trattiene tutta l’energia di prāna-śakti, la forza vitale) viene trattenuto dopo l’inspirazione o anche dopo l’espirazione, allora alla fine di quel momento di profonda quiete, il Tranquillo si manifesta attraverso quel potere, cioè prāna-śakti. Tranquillo, in questo contesto non duale, può essere interpretato come la nostra stessa calma presenza, sempre lì, sullo sfondo di ogni cosa, in attesa di essere scoperta.

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Letture e spunti Mantra Yoga & Meditazione

Asato mā: dal non essere all’essere

Nella Brhadāranyaka-upanisad si trova un magnifico auspicio, profondamente radicato nelle menti e nei cuori dei maestri del Vedānta, ossia la parte conclusiva dei Veda.

Colui che conosce il fondamento del sāman (forza vitale) ha salde radici. Il fondamento sāman è la parola: fondandosi infatti sulla parola il soffio diventa canto. […]

Brhadāranyaka-upanisad 1.3.27

Ora segue la recitazione delle formule purificatorie. Il prastotar (sacerdote) deve intonare il sāman. Quando il sacerdote intona, canta questi versi:

om asato mā sadgamaya [conducimi dal non essere all’essere]
tamaso mā jyotirgamaya [conducimi dalle tenebre alla luce]
mrtyormā amrtam gamaya [conducimi dalla morte all’immortalità]
om śāntih śāntih śāntih [om, pace (in me), pace (in natura), pace (nelle forze divine)]

Brhadāranyaka-upanisad 1.3.28

Nel Vedānta, l’essere è strettamente associato al concetto di Brahman, che rappresenta l’Essere puro e assoluto. Brahman è la realtà ultima, infinita e onnipervadente, da cui tutto emana e in cui tutto ritorna. È descritto come eterno, immutabile e privo di attributi specifici (nirguna), ma può anche essere concepito con attributi (saguna) per facilitare la comprensione umana. Secondo il Vedānta, l’essere individuale (ātman) è identico a Brahman. Questa identità è espressa nella famosa formula “Tat Tvam Asi” (Tu sei Quello), che sottolinea l’unità tra l’io individuale e l’Essere universale, sintetizzando l’intera dottrina advaita. La realizzazione di questa unità è l’obiettivo ultimo della pratica spirituale nel Vedānta, portando alla liberazione (moksha) dall’illusione della separazione e dalla sofferenza.

La salvezza, nella speculazione indiana, diventa quindi l’emancipazione dal samsāra (catena delle rinascite) e la fusione con il Brahman. Mentre per l’occidentale l’idea di una rinascita sulla terra potrebbe sembrare perfino desiderabile, nelle dottrine metafisiche indiane, al contrario, il timore di rimanere intrappolati in questo ciclo doloroso di morti e rinascite è visto come una condanna cui sfuggire.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 3 – Śloka 26

La terza delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) si manifesta quando si è così immersi nel centro energetico che il pensiero discorsivo, il chiacchericcio mentale che ci abita costantemente, finalmente si placa, fino a scomparire. Si è semplicemente presenti in questo spazio centrale aperto e vibrante, senza pensare, in uno stato di sospensione del respiro. Quando l’attenzione si concentra su questo centro e i pensieri (vikalpa) si dissolvono, tutto si sospende, permettendo di percepire la beatitudine (ananda), la realtà più intima di ogni cosa, situata nel punto più profondo e protetto, il centro dell’essere.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

26. La potenza propria del soffro vitale più non esce, più non entra, dischiusosi che sia il punto di mezzo, in virtù dell’assenza di ogni pensiero discorsivo. Grazie ad essa si invera la condizione di Bhairava.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: Il kumbhaka o ritenzione dei soffi vitali è il terzo momento del prānāyāma, la regolazione yoghica della respirazione. Lo yogin, ritmando e rallentando il movimento del respiro, compie tre operazioni: inspirazione (pūraka), espirazione (recaka) e ritenzione (kumbhaka).
La respirazione è connessa coi diversi stati mentali ed è quindi uno dei mezzi principali a nostra disposizione per intervenire su di essi: in altre parole, ogni stato di coscienza può essere esperito, conosciuto, penetrato e controllato con una adeguata regolazione della respirazione.
Tale pratica porta ad una costante consapevolezza ed attenzione alle modalità del nostro pensiero e della nostra psiche: alla fine, si ha l’inverarsi dello stato supremo.

26. L’energia del respiro non dovrebbe né uscire né entrare; quando il centro si dischiude con la dissoluzione dei pensieri, allora si raggiunge la natura di Bhairava.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Quando stabilisci la focalizzazione nella vena centrale (susumnā) […] l’energia del respiro non esce né entra, perché […] questa vena centrale è già mantenuta in un solo punto. […] Questo è śāmbhavopāya […] nessuna recitazione del mantra e nessuna oggettività in quella coscienza. È una consapevolezza spontanea e centrata. Non c’è supporto dei due vuoti, non c’è dualità.

26. Quando lo stato di mezzo si sviluppa per mezzo della dissoluzione di tutti i costrutti di pensiero dicotomizzanti1 prāna-śakti nella forma di espirazione (prāna) non esce dal centro (del corpo) verso dvādaśānta2, né quella śakti sotto forma di inalazione (apāna) entra nel centro da dvādaśānta. In questo modo per mezzo di Bhairavī che si esprime sotto forma di cessazione di prāna (espirazione) e apāna (inalazione), lì emerge lo stato di Bhairava3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. In questa dhāranā, prāna (espirazione) e apāna (inalazione) cessano e madhya daśā si sviluppa cioè prānaśakti in susumnā si sviluppa per mezzo di nirvikalpabhāva, cioè con la cessazione di tutti i costrutti di pensiero; quindi viene rivelata la natura di Bhairava.
Sivopādhyāya nel suo commento dice che il nirvikalpabhāva è il risultato di Bhairavī mudrā in cui anche quando i sensi sono aperti verso l’esterno, l’attenzione è rivolta verso l’interno allo spanda interiore o pulsazione della coscienza creativa che è la base e il supporto di tutte le attività mentali e sensuali, quindi tutti i vikalpa o costrutti di pensiero cessano. Il respiro non esce, né entra, e la natura essenziale di Bhairava viene rivelata.
2. Dvādaśānta significa una distanza di 12 dita nello spazio esterno misurata dalla punta del naso.
3. La differenza tra la precedente dhāranā e questa sta nel fatto che mentre nella precedente dhāranā, madhya daśa si sviluppa attraverso la consapevolezza focalizzata delle pause di prāna e apāna , nella presente dhāranā, madhya daśa si sviluppa per mezzo di nirvikalpabhāva. […]

Oppure, ogni volta che l’inspirazione e l’espirazione si fondono, in questo istante tocca il centro privo di energia, pieno di energia.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: […] Noi siamo divisi in centro e periferia. Il corpo è la periferia; noi conosciamo il corpo, conosciamo la periferia, conosciamo la circonferenza, ma non sappiamo dove sia il centro. Quando l’espirazione si fonde con l’inspirazione, quando diventano tutt’uno, quando non sei in grado di dire se si tratta di un’espirazione o di un’inspirazione, quando è difficile demarcare e definire se il respiro stia entrando oppure uscendo, quando il respiro è penetrato e comincia a uscire, in quell’attimo esiste una fusione: il respiro non esce né entra, è statico.[…] Il punto di fusione tra il respiro che entra e quello che esce è il tuo centro. […] Il respiro va costantemente al centro e ne esce, ma noi non respiriamo mai intensamente, per cui, normalmente, il respiro non tocca mai il nostro centro, non al giorno d’oggi, perlomeno. Ecco perché oggigiorno ci se sente tanto “scentrati”.

Sulla relazione tra respiro e attività del pensiero come conoscere differenziato (vikalpa), possiamo attingere da altre fonti autorevoli che ribadiscono i contenuti del nostro tantra:

Infatti, non essendovi più sorgere di nuovi movimenti respiratori, non può logicamente esservi neppure più molteplicità di conoscere, la quale è generata dalla molteplicità del tempo.

Luce delle sacre scritture (Tantrāloka) di Abhinavagupta, VII, 23 b-24 (a cura di Ranierio Gnoli) – UTET

17. Dalla dilatazione del centro si ha il conseguimento della beatitudine della Coscienza.

L’autocoscienza jivaica astratta dalle proprie sovrapposizioni velanti si fonde nella Coscienza pura di Paramaśiva perdendo per sempre qualsiasi limitazione. Lo yogin deve prima raccogliere la consapevolezza dispersa nella sfera sensoriale, in quella mentale, ecc., poi concentrarla nel punto focale centrale, quindi fissare tale posizione mantenendola scevra da qualsiasi appoggio o riferimento e alimentandola incessantemente fino a che, nel giusto tempo, il suo stesso essere-coscienza si risolve in modo del tutto spontaneo nella infinita spazialità adimensionale della Coscienza di Paramaśiva.

Pratyabhijñāhrdayam di Ksemaraja – Traduzione dal sanscrito, presentazione e note a cura di Kevalasangha

Alcuni “metodi” del Vijñāna Bhairava, come quello qui presentato, sembrano alludere ad esperienze che sorgono spontaneamente sul sentiero della meditazione, dove il respiro si fa sempre più sottile, avvicinandosi al nucleo più intimo del proprio essere, fino a fermarsi spontaneamente, insieme all’ideazione della mente, innescando l’espansione del centro (che denota sia il canale centrale che la consapevolezza-presenza che è il nucleo del proprio essere) e svelando lo “stato di Bhairava”, quest’ultimo essendo uno stato di vuoto profondamente immobile che è paradossalmente riempito con la quieta intensità della pura Presenza.