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Letture e spunti Maestri Musica & Percussioni Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 18 – Śloka 41

La diciottesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) prosegue l’esplorazione della relazione tra il suono e il vuoto. Qui, il suono in questione è esemplificato da uno strumento a corde chiamato tantrī che esisteva nell’India arcaica, i cui discendenti sono il tanpūra, così come la vīṇā

tantryādi-vādya-śabdeṣu dīrgheṣu krama-saṃsthiteḥ | ananya-cetāḥ pratyante para-vyoma-vapur bhavet || 41 ||

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

41. Colui che è tutto concentrato sui suoni di strumenti musicali come la tantrī, ecc. – suoni prolungati e via via succedentisi -, alla fine di tali suoni si identifica con l’etere supremo.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:
La tantrī è uno strumento musicale a corde, simile al liuto.

41. Se si ascolta con attenzione indivisa i suoni degli strumenti a corde e di altri strumenti che sono suonati successivamente e sono prolungati, allora si diviene assorbiti nell’etere supremo della coscienza.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Gli strumenti musicali a corde sono chiamati tantrī. […] In questi suoni, per esempio nel sitār, si possono percepire suoni distinti, ma se si va in profondità nell’ascolto, si vedrà che da quello strumento proviene un suono unico, collettivo. Un unico suono collettivo. Questo può essere udito da chiunque, ma in particolare da coloro che mantengono la consapevolezza.
[…] quel suono collettivo, è […] continuo, senza interruzioni, benché sia krama-saṃsthiteḥ, suonato successivamente, poiché l’esecutore poggia le dita successivamente su quelle corde. E su quel suono, ananya-cetāḥ: colui che è unidirezionato, che si concentra su quel suono collettivo, alla fine […] diventa uno con l’etere supremo della coscienza, cidākāśa.

Se si ascoltano con attenzione indivisa i suoni degli strumenti musicali a corde e di altri strumenti musicali, che, a causa della loro successione (ininterrotta), risultano prolungati1, si sarà, alla fine2, assorbiti nell’etere della coscienza (e si realizzerà così la natura di Bhairava).

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. La risonanza delle note musicali dura a lungo e, essendo melodiosa, attrae l’attenzione dell’ascoltatore. Anche quando termina, continua a riverberare nella mente dell’ascoltatore. L’ascoltatore ne è profondamente assorbito. Una nota musicale, se prodotta correttamente, sembra sorgere dall’eternità e infine dissolversi in essa.
2. Quando la musica si interrompe, essa continua a vibrare nella memoria. Se lo yogī non permette alla propria mente di vagare altrove, ma si concentra sull’eco della musica, sarà assorbito nella sorgente di ogni suono, cioè nella parāvāk, e acquisirà così la natura di Bhairava.

Se si ascolta con attenzione indivisa i suoni prolungati degli strumenti a corda e di altri strumenti, delle (note suonate) nel loro giusto ordine, quando giungono al termine si (realizza che il proprio) corpo è il Vuoto Supremo.

Mark Dyczkowski

Colui che mantiene la mente-cuore completamente concentrata sui suoni prolungati di uno strumento musicale come la tantrī (uno strumento a corde simile alla vīṇā), attraverso la durata delle fasi [della loro risonanza], al limite [del suono percettibile], sperimenterà il proprio corpo diventare [come] il cielo spazioso.

Christopher D. Wallis

In questa pratica descritta dal Vijñāna Bhairava Tantra, l’oggetto della meditazione sono i suoni prolungati — dīrgha-śabda — generati da uno strumento musicale a corde, come la tantrī, una sorta di vīṇā arcaica. È su questi suoni continui, ricchi di risonanze sottili, che l’attenzione del praticante deve posarsi con assoluta dedizione.

L’atteggiamento mentale richiesto è quello di una mente-cuore totalmente concentrata: ananya-cetāḥ. Questo stato interiore, in cui la consapevolezza non si frammenta né si disperde, è fondamentale. In sanscrito, è bene ricordarlo, ogni termine che designa la “mente” implica anche il cuore; si parla quindi di una qualità della presenza che coinvolge l’interezza dell’essere.

Il processo meditativo si svolge nel seguire, con attenzione indivisa, le fasi della risonanza dello strumento — krama-saṃsthitiḥ. Ogni vibrazione, ogni sfumatura sonora viene seguita nel suo sorgere, mantenersi e dissolversi. Il praticante rimane immerso in questo flusso, senza interrompere il filo dell’ascolto consapevole.

Il momento cruciale avviene pratyante, cioè al limite del suono percepibile, quando la vibrazione è sul punto di svanire nel silenzio. È proprio in questo spazio di passaggio, in questa soglia, che può accadere la trasformazione.

Il risultato dell’esperienza è straordinario: il corpo, o più precisamente la propria forma o natura — vapus — diventa come il para-vyoma, il vuoto ultimo o lo spazio supremo. I termini śūnya e vyoma sono spesso usati come sinonimi per indicare il vuoto, ma vyoma porta con sé anche il senso di “cielo”, di vastità silenziosa e illimitata.

La trasformazione, dunque, non è solo interiore ma ontologica: attraverso questa pratica, ciò che chiamiamo “corpo” — vapus, un termine che racchiude anche la nozione di bellezza intrinseca — si dissolve nella spaziosità sconfinata della coscienza. Si diventa quel parama-śūnya, il grande silenzio aperto, che è al contempo la fine del suono e l’inizio dell’essere.

In pratica:

  1. Preparazione: Trova uno spazio tranquillo dove non sarai disturbato, idealmente con una buona acustica o usando delle cuffie di qualità
  2. Selezione del suono: Utilizza una registrazione di tambūra o tanpūra (oppure vīṇā o sitār). Scegli preferibilmente una registrazione lunga e puramente strumentale
  3. Impostazione della pratica: Se usi una registrazione lunga, considera di iniziare l’ascolto circa 10-15 minuti prima della fine. Questo ti permetterà di stabilire una concentrazione profonda e poi seguire il suono fino alla sua naturale conclusione
  4. Posizione: Siediti in una posizione comoda e stabile, con la schiena eretta ma rilassata
  5. Ascolto iniziale: Inizia ad ascoltare lo strumento, notando consapevolmente ogni qualità del suono – tono, vibrazione, risonanza, armoniche
  6. Assorbimento totale: Permetti alla mente-cuore di diventare completamente assorbita nel suono (ananya-cetāḥ). Presta attenzione a ogni singola nota e risonanza, come se non esistesse null’altro in quel momento
  7. Seguire il suono: Segui attentamente le fasi del suono (krama-saṃsthiteḥ) mentre si sviluppa, sostiene e gradualmente si dissolve. Nota come ogni vibrazione nasce, si sostiene e svanisce
  8. Momento di transizione: Quando il suono inizia a svanire, intensifica la tua attenzione. Presta particolare attenzione al momento in cui il suono sta per scomparire, al limite della percettibilità (pratyante)
  9. Seguire il suono nel silenzio: Segui il suono che si dissolve nel silenzio puro. Questo è il momento cruciale della pratica – non lasciare andare la tua concentrazione quando il suono termina, ma segui attentamente la sua scomparsa
  10. Diventare il silenzio: Non limitarti a osservare il silenzio come qualcosa di esterno – diventa il silenzio stesso. Lascia che i confini tra te e lo spazio di silenzio si dissolvano
  11. Espansione: In questo stato, lascia che la tua consapevolezza si espanda infinitamente, sperimentando il tuo corpo come spazio illimitato (para-vyoma-vapuḥ)
  12. Dimora: Rimani in quello stato di spaziosità silenziosa per quanto ti è possibile, senza afferrarti ad esso né analizzarlo

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Musica & Percussioni Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 15 – Śloka 38

La quindicesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci parla di una dimensione sottile ma profondamente trasformativa della nostra esperienza sonora: il suono anāhata, letteralmente “non percosso”.

anāhate pātra-karṇe ’bhagna-śabde sarid-drute |
śabda-brahmaṇi niṣṇātaḥ param brahmādhigacchati || 38 ||

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

38. Colui che è sperimentato nel brahman-suono inarticolato, non percepibile all’udito, ininterrotto, corrente come un fiume, raggiunge il supremo brahman.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:
Il verso « Colui che è sperimentato nel brahman-suono … raggiunge il supremo brahman » è tratto dalla Maitrī-upaniṣad, VI, 22: « Bisogna sapere che vi sono due brahman, uno supremo e l’altro inferiore. Colui che è… », ecc.
Il brahman-suono è il principio da cui, secondo la scuola dei grammatici indiani (Bhartṛhari, ecc.), procedono, per trasformazione (vivarta), tutte le cose. Mentre però per essi questa ‘trasformazione’ del brahman nella realtà oggettiva, nelle varie cose e parole, è essenzialmente illusoria, per gli śivaiti, che accolgono parzialmente le concezioni dei grammatici, le cose che procedono dal brahman-suono sono reali. La suprema parola (parā vāc) si attua come suprema proprio attraverso la molteplicità. Da essa procedono i tre piani della parola veggente (paśyantī), della parola mezzana (madhyamā) e della parola corporea (vaikharī). Nel primo, che corrisponde alla potenza di volontà, tutte le future differenziazioni sono contenute in nuce; nel secondo, espressione della potenza di conoscenza, le varie cose sono presenti come pensiero; e nel terzo, corrispondente alla potenza d’azione, l’oggettività si manifesta in tutta la sua pienezza. 

38. Raggiunge il supremo Brahman colui che è profondamente immerso nel Brahman-che-è-Suono (śabdabrahman), che vibra all’interno, senza percussione e viene percepito dall’orecchio; questo suono è ininterrotto come quello di una cascata.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Il suono che non è percosso è chiamato anāhata, pātrakārṇe significa ciò che è udito dalle tue stesse orecchie. Non proviene da fonti esterne. Oppure se non puoi meditare sul suono anāhata, o abhagna-śabde, puoi meditare su qualsiasi suono prodotto senza interruzione, per esempio il suono di una cascata […] che scorre a grande velocità, a grande impeto.[…] Nessun mantra, nessuna recitazione, nessun esercizio di respirazione. Concentrati semplicemente su quel suono o sulla continuità di quel suono della cascata o anāhata-śabda. Ad esempio, se metti le dita sull’orecchio trovi anāhata-dhvani, se metti le mani a forma di coppa, sentirai la continuità di quel suono. Contempla semplicemente quel suono. Questo è puro śaktopāya.

38. Colui che è profondamente versato e profondamente immerso1 o intriso nel Nāda che è Brahman nella forma di suono (śabdabrahmani niṣṇātaḥ), che vibra all’interno senza alcun impatto (anāhate)2, che può essere udito solo dall’orecchio che diventa competente tramite lo yoga (pātrakārṇe)3, che continua a suonare ininterrottamente (abhagnaśabde) e che scorre impetuosamente come un fiume (sariddrute) raggiunge il Brahman (brahmātibhigacchati).

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. C’è un doppio intendimento in niṣṇāta. Significa sia ben versato che ben immerso (ni-snāta) cioè profondamente intriso.
2. Anāhata nāda letteralmente significa suono non percosso. È un suono che continua a vibrare dentro spontaneamente senza alcun impatto. Circa dieci tipi di nāda (suono) che vibrano internamente diventando sempre più sottili sono menzionati nei libri sullo Yoga. Qui il riferimento è al nāda più sottile che vibra nella prāṇaśakti presente nella suṣumna. La Prāṇaśakti è, nell’universo, rappresentante della paraśakti, la śakti del Parama Śiva. È l’energia eterna della coscienza, lo spanda spirituale. Quando la Kuṇḍalinī si eleva, si è in grado di udire questo. Lo yogī deve concentrarsi su questo suono che all’inizio è come quello di una campanella, poi più sottile come quello di un flauto, poi ancora più sottile come quello della vīṇā, e quindi più sottile come il ronzio di un’ape. Quando lo yogī si concentra su questo nāda, dimentica tutto del mondo esterno, si perde gradualmente nel suono interno ed è infine assorbito nel cidākāśa, cioè nella vasta distesa della coscienza. Questo è ciò che si intende quando si dice che raggiunge il Brahman. Questo tipo di yoga è conosciuto come varṇa nell’Aṇava upāya dello Śaiva yoga, come nādānusandhāna in alcune delle upaniṣad più antiche e nella tradizione Nātha, e suratī śabda yoga in Kabira e altri santi medievali.
3. Pātrakārṇe significa che questo suono spontaneo interiore non è udibile da ogni orecchio ma solo dall’orecchio che è reso competente per udirlo sotto la guida di un guru.
Questo è un Aṇava upāya.

Colui che è immerso nell’Assoluto-che-è-vibrazione (śabda-brahman), nell’ininterrotto suono non percosso, [come] un fiume impetuoso nel vaso dell’orecchio, raggiunge il supremo Brahman. 

Christopher D. Wallis

Anāhata è il termine utilizzato per descrivere il cakra del cuore (anāhata-cakra), il centro energetico dove si dice che la risonanza primordiale del sacro suono OṂ risieda permanentemente, che siamo in grado di percepirla o meno. Viene chiamato “non percosso” perché, a differenza di tutti gli altri suoni che conosciamo, non origina dal contatto tra due oggetti. I suoni ordinari richiedono sempre un impatto: le corde vocali che vibrano, le dita che pizzicano una corda, l’aria che colpisce un flauto. L’anāhata, invece, è una vibrazione che sorge spontaneamente come tono fondamentale dell’esistenza stessa.

Questo verso ci suggerisce che attraverso l’ascolto profondo possiamo sintonizzarci con questa vibrazione universale, il fondamento sonoro dell’esistenza, conosciuto nella tradizione tantrica come śabda-brahman (il Suono-Assoluto), nāda (risonanza pura), o praṇava (il “ronzio cosmico”).

Ciò che rende speciale questa risonanza è la sua natura onnipresente e non-locale: non è semplicemente un suono interno, ma pervade l’intero campo dell’esistenza, manifestandosi in una forma sottile che può essere percepita quando la mente diventa sufficientemente calma e ricettiva.

Sebbene il verso originale sembri descrivere più un risultato che una tecnica, possiamo elaborare  un esempio di pratica ispirata al verso:

  • Preparazione: Trova un luogo tranquillo dove non sarai disturbato. Siediti in una posizione comoda, con la schiena dritta ma rilassata.
  • Connessione con l’orecchio: Porta delicatamente le mani alle orecchie, chiudendole parzialmente. Puoi anche usare un gesto simile a quando ascolti una conchiglia marina: porta il palmo della mano a coppa vicino all’orecchio senza toccarlo direttamente.
  • Ascolto sottile: Con gli occhi chiusi, porta l’attenzione al sottile rumore che puoi percepire, che potrebbe assomigliare al suono di un fiume lontano o al respiro dell’oceano in una conchiglia.
  • Espansione dell’ascolto: Man mano che ti sintonizzi con questo suono, realizza come non provenga solo dalle tue orecchie, ma sia presente ovunque. Ascolta come se tutto il tuo corpo fosse un organo uditivo.
  • Dissoluzione dei confini: Lascia che la tua percezione del suono si espanda gradualmente oltre i confini del corpo, fino a includere lo spazio intorno a te. Percepiscilo come un campo di vibrazione onnipresente.
  • Immersione totale: Quando sei completamente assorbito nell’ascolto, lascia andare persino lo sforzo di ascoltare. Diventa uno con il suono – “immerso” nell’Assoluto-che-è-vibrazione.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Mantra Musica & Percussioni

Possa esserci…

Sarveśām Svastir Bhavatu
Sarveśām Sāntir Bhavatu
Sarveśām Pūrnam Bhavatu 
Sarveśām Mangalam Bhavatu
Sarve Bhavantu Sukhinaha
Sarve Santu nirāmayaha 
Sarve Badrāri Pasyantu 
Mā Kascidh-dhuhkha Bhāga-Bhavet
Om śānti śānti śānti

Possa esserci benessere/prosperità in tutti
Possa esserci pace in tutti
Possa esserci pienezza/completezza in tutti
Possa esserci successo spirituale in tutti
Possano tutti essere prosperi e felici
Possano tutti essere liberi dalla malattia
Possano tutti vedere ciò che è spiritualmente edificante
Che nessuno soffra
Om pace pace pace

Si ritiene che l’origine di questo mantra provenga dalla Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, pur non nella sua forma attuale. Si tratta di un’invocazione di armonia e benedizioni per tutta la creazione (Lokakṣema).

Inviare auguri di bene, abbracciare virtualmente ogni creatura, accarezzare l’anima del mondo apparentemente scissa in innumerevoli individualità, ha il potere di ampliare il cuore, scaldarlo e ammorbidirlo.

Il canto del mantra e la vibrazione che esso produce diventano strumenti di pace, di fratellanza viva e pulsante, che annientano ogni sentimento di invidia e di gelosia.

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Strumenti

Marimba

“…della famiglia degli xilofoni, la marimba è una specie di ape regina: vasta, maestosa, elegantissima con la sua collana di pregiati legni scuri, con la sua voce ora profonda ora svettante, sensuale ma anche tagliente.

Fra le immagini sonore dell’”altro”, la marimba – ma lo stesso vale per il suo fratello più piccolo, lo xilofono – è una delle più seducenti; dimostrazione di come l’esotico, il diverso, l’ancestrale, opportunamente raffinati e tecnologizzati, sono entrati a far parte del vasto arsenale della musica d’arte occidentale.

In una partitura, anche la più seriosa, la marimba è come una spezia o un profumo, un aroma specialissimo da dosare attentamente. E non di rado lo scoppiettare della marimba è l’ancora di salvezza per musiche alquanto deficitarie in materia di appeal.

Fra le mani giuste, lo zampillare rapinoso di quei legni percossi suona come una sorta di antica leggenda di come la musica nacque e di come continuerà.”