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Essere aggrediti è un dono

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Uno dei tranelli in cui facilmente incappa un certo tipo di praticante di yoga è quello di sentirsi più cosciente, più centrato, più equilibrato rispetto ad una certa umanità tendenzialmente gregaria ed appiattita su bisogni indotti dalla società del consumo. Brusco è il risveglio alla realtà del ginnico yogi nel momento in cui qualcuno lo deride, lo infanga, lo critica, ed un fiume di rabbia implacabile gli si riversa nelle vene.

A un certo punto non vi capiterà più di sentirvi aggrediti da chicchessia, compresi da quelli che vi aggrediscono. Più qualcuno vi aggredisce, più vi lasciate invadere da una forma d’affetto per lui. Vedrete la sua miseria, la sua tristezza, la sua problematica.
Nello spazio di apertura, essere odiato, che sia nell’istante o nel tempo, sviluppa automaticamente una forma d’affetto. Maggiore è l’odio, maggiore l’affetto. Quello che vi odia cerca l’amore che rifiuta a se stesso. Siete voi che lo portate poco a poco a vedere che l’amore che sente rifiutarsi da voi è in lui stesso; e che non ha bisogno di voi per trovarlo. È un processo organico, non pensato, inevitabile, che si compie in ogni istante e che bisogna riconoscere, altrimenti si dimora costantemente nella reazione.
La sera, vi togliete i vestiti per non coricarvi con abiti sporchi; vi lavate i denti, per addormentarvi senza tutte quelle impurità nella bocca; vi lavate il viso per la stessa ragione. Questo vi appare naturale. Nello stesso modo, prima di addormentarvi, deponete tutte le vostre aggressioni immaginarie della giornata. Se no, l’indomani, la giornata sarà dura.
Essere aggredito è il vostro dono per non addormentarvi.
È facile credersi tranquilli, fare dello yoga, essere saggi. Ma improvvisamente, vi si aggredisce, vi si detesta, vi si odia. Questo vi permette di svegliarvi alla vostra risonanza. Ciò attiva in voi l’amore? L’odio? Scoprite il vostro proprio funzionamento. Lo yoga è questo. Non è restare seduti come un paletto, ma osservare come si fa fronte all’istante. Scoprite che le aggressioni sono i doni più profondi della vita, perché più vi si aggredisce, più si sviluppa la vostra maturità. Le vite prive di aggressioni sono delle vite miserabili, e fortunatamente ciò non esiste.
Siate disponibili, non cercate di accomodare le cose, di reagire meno, d’essere più saggi. Sentite vivamente la vostra follia quando siete messi in questione. Prendete le vostre emozioni come oggetto di contemplazione, di studio, con affetto e pazienza.
Non aspettate nulla, non chiedete niente, tutto si fa da sé.

Passi da Lasciar libera la luna, Éric Baret

Preconcetti, abitudini, paure, ignoranza ci fanno a volte interpretare come aggressivi i comportamenti di chi ci circonda, anche quando uno sguardo più attento ed una sensibilità più fine potrebbero cogliere motivazioni insospettatamente amichevoli o di sostegno nei volti dei nostri presunti aguzzini.

L’opposizione del sapiente è meglio del sostegno dello sprovveduto
Una vipera s’introdusse nella gola di uomo addormentato in piena campagna.
Dall’alto della sua cavalcatura, un cavaliere assistette alla scena. «Se l’uomo continua a dormire verrà ucciso dal veleno della vipera. Non c’è tempo da perdere» pensò il cavaliere, che era un uomo di conoscenza.
In fretta e furia diede dei violenti scossoni all’uomo per svegliarlo. Dopodiché, raccolta una grande quantità di frutta fradicia sparsa a terra, costrinse l’uomo a inghiottirla. Tenendolo sempre immobilizzato lo costrinse poi a ingurgitare delle possenti sorsate d’acqua di una pozzanghera.
L’uomo, svegliatosi di soprassalto, non riusciva a capire ciò che stava succedendo. Piangendo, pregò quello che a lui parve un aggressore di smettere di torturarlo.
Ma il cavaliere continuò la sua operazione, finché l’uomo, spossato fisicamente, non diede di stomaco, rigettando le mele marce, l’acqua sporca e la vipera. Solo a quel punto realizzò ciò che era successo.
«Ti ringrazio» disse l’uomo appena salvato «ma c’era proprio bisogno di trattarmi in quel modo? Se mi avessi svegliato tranquillamente e spiegato che cos’era successo, avrei accolto meglio la tua operazione!».
«Questo è ciò che tu immagini, poiché vivi nella credenza che ciò che ti piace corrisponda a ciò di cui hai bisogno! Se ti avessi spiegato cos’era successo, forse non mi avresti creduto. Oppure te la saresti data a gambe, impazzito dallo spavento. O forse saresti rimasto paralizzato dal panico. O, ancora, avresti continuato a dormire come se niente fosse. E così non avremmo avuto il tempo né il modo di organizzare le circostanze adatte per portarti in salvo!» rispose il cavaliere che, rimontato in sella, se ne andò al galoppo.”

Passi da Il dito e la luna – 101 storie Sufi 

Siamo istruiti ed allenati a vivere ad un ritmo incalzante. Tutto è urgente, tutto veloce. Anche le nostre reazioni seguono le stesse dinamiche. Creare spazio, porre una distanza, anche minima, tra gli eventi e la nostra reazione ad essi, potrebbe costituire una chiave di volta.

Abbandonare la rabbia, una volta che ci siamo dentro completamente, richiede uno sforzo immenso. Molti di noi non sono capaci di compierlo sul momento. Il motivo è che, per la maggior parte del tempo, siamo incastrati nella nostra modalità di attacco. Possiamo sentire di essere aggrediti. I nostri sistemi sono pronti a reagire in fretta. Con anche solo un attimo di pausa, possiamo gradualmente abbandonare la nostra modalità di attacco e spostarci verso uno spazio tranquillo di presenza che rende possibile una reazione più compassionevole e appropriata.
La meraviglia di una pratica regolare della meditazione seduta è che ci aiuta a essere meno in modalità attacco-e-difesa prima che si verifichi la situazione che ci mette in agitazione. Così, in quel momento di offesa o di rabbia, siamo più capaci di fermarci e praticare. Siamo capaci di tornare più in fretta alla realtà. Magari sentiamo comunque che la vita ci sta aggredendo, ma conquistiamo la capacità di osservare che ci sentiamo così e tornare a quello che sta succedendo dentro di noi. La forza interiore necessaria per farlo è il frutto di una pratica ripetuta.

Passi da Meraviglia quotidiana, Charlotte Joko Beck

Ammettere di avere torto è una sorta di suicidio sociale, equivale ad annientare l’immagine del proprio io, a rinunciare ad una delle proprie maschere. Per salvaguardare la nostra identità siamo spesso noi stessi a trasformarci in spietati aggressori, sguainando la spada in difesa delle nostre presunte ragioni da difendere.

Se ti identifichi con una posizione mentale, nel caso in cui tu abbia torto, il tuo senso di identità basato sulla mente si sente gravemente minacciato. Perciò tu, in quanto ego, non puoi permetterti di sbagliare. Avere torto è come morire. Per questo motivo si sono combattute guerre e si sono interrotte infinite relazioni.
Una volta che hai eliminato l’identificazione con la mente, avere ragione o torto non fa più nessuna differenza per il tuo senso di identità, perciò non avrai più il bisogno compulsivo e profondamente inconsapevole di avere ragione (che è una forma di violenza). Puoi affermare chiaramente e con fermezza quel che pensi o ciò in cui credi, ma non lo farai in modo aggressivo né mettendoti sulla difensiva, perché a quel punto la tua identità deriverà da un luogo più profondo e autentico dentro di te, non dalla mente.”

Passi da Come mettere in pratica Il Potere di Adesso, Eckhart Tolle

Molte sono le esperienze, le persone o gli eventi che nella vita oggettivamente ci aggrediscono, attaccano, feriscono. Forse però vale la pena osservare come sia sempre e solo la percezione che noi abbiamo di esse e la reazione che mettiamo in campo a renderle intollerabili o, al contrario, parte del viaggio.

L’uomo dall’animo in pace non è in conflitto con nessuno.
Una volta un maestro e un suo allievo stavano tranquillamente passeggiando per strada, quando a un tratto un uomo, giunto alle loro spalle, si diresse verso il maestro accanendosi con ferocia. Dopo essere stato colpito energicamente, il maestro cadde a terra. L’uomo, soddisfatto della sua dissennatezza, se ne andò.
Dopo essersi rialzato, il maestro, un po’ zoppicante, proseguì la passeggiata senza neppure voltarsi indietro per individuare l’aggressore.
L’allievo, scosso dall’evento inspiegabile, chiese: «Maestro, ma chi era quell’uomo? Cosa significa tutto ciò? Perché vi ha aggredito?».
Accennato un sorriso, il maestro rispose: «Il problema è suo, non mio!».”

Passi da Il dito e la luna – 101 storie Sufi 

4 risposte su “Essere aggrediti è un dono”

Almeno tre o forse più modalità
d’approccio.Si parla di disponibilità, di pratica costante, di identificazione,corriamo il rischio di essere ancora una volta quello yogi che si diletta con nuovi “supporti” per raggiungere l’agognata posa.
Ma poi se tutto questo risulta indigesto, mi prendo il digestivo, la pillola di saggezza Sufi.
Tutto molto istruttivo.
Mah?
Ritorno ad osservare come funziono alle maschere che indosso e a tutto il resto.
Voglio arrendermi o voglio aggredire………..
C

I completely agree with your post about the pitfalls of practicing yoga and feeling more conscious and centered than the rest of society. It’s easy to feel superior and disconnected from others, but it’s important to remember that everyone is on their own journey and there is no one “right” way to live. However, I’m curious about how you suggest dealing with the anger and frustration that can arise when someone criticizes or ridicules our yoga practice. Do you have any tips for maintaining inner peace and not letting external negativity affect us?

All the emotions we experience (anger, joy, fear, sadness, etc.) can be exploited and redirected, especially when they are stripped of moral superstructures (good/evil, right/wrong). If we manage to remove the label from them, if we free them from the concept that accompanies them, we will no longer be able to say “I’m angry”, “I’m afraid”, etc. We will then be able to be in pure perception, in deep feeling, at one with the experience of stomach churning, hair standing on end, heat flushing cheeks. The ego withdraws, devoid of references. We will thus be able to remain in the bare action, instead of entering the dynamics of re-action, discovering infinite tactile sensations buried under layers of paralyzing contractions accumulated at the muscle and joint level since childhood.
Letting emotions live in the body will mean recognizing its current heaviness and rigidity in order to open up to lightness and expansion.
What to do concretely? The emotion of anger arrives, you feel it mounting, changing the features of the face, warming the face, activating the sphincters, contracting the muscles, etc.; and you remain in this listening without interpretation, without psychological interference.
Here are new panoramas opening up on the horizon. A space is created between what activates the emotion and your reaction to it: a space of silence and an expansion of consciousness.
(Tutte le emozioni che sperimentiamo (rabbia, gioia, paura, tristezza, ecc.) possono essere sfruttate e riorientate, soprattutto quando sono spogliate dalle sovrastrutture morali (bene/male, giusto/sbagliato). Se riusciamo a togliere loro l’etichetta, se le liberiamo dal concetto che le accompagna, non potremo più dire “sono arrabbiato”, “sono impaurito”, ecc.. Potremo essere allora nella pura percezione, nel sentire profondo, tutt’uno con l’esperienza dello stomaco che si contorce, dei peli che si rizzano, del calore che avvampa le guance. L’ego si ritrae, privo di riferimenti. Potremo rimanere così nella nuda azione, anzichè entrare nella dinamica della re-azione, scoprire infinite sensazioni tattili sepolte sotto strati di contrazioni paralizzanti accumulate a livello muscolare ed articolare fin dall’infanzia.
Lasciar vivere le emozioni nel corpo significherà riconoscerne l’attuale pesantezza e rigidità per aprirsi alla leggerezza ed all’espansione.
Che fare nel concreto? Arriva l’emozione della rabbia, la si sente montare, modificare i tratti del viso, accalorare il volto, attivare gli sfinteri, contrarre i muscoli, ecc.; e si rimane in questo ascolto senza interpretazione, privi di interferenze psicologiche.
Ecco che nuovi panorami si aprono all’orizzonte. Si crea uno spazio tra ciò che attiva l’emozione e la propria reazione ad essa: uno spazio di silenzio ed una espansione di coscienza.)

Mai come ora risuona tutto di un vero potente. Ed è così bella e vera, nitida, la constatazione di quel torto subito, di quel senso di niente, di quel rifiuto o abbandono per i motivi più sbagliati. E quando tutto giunge all’ apice, si sgonfia e rimane ciò che conta. Non l’ aver ragione o torto, non una suzione, ma un essere che non necessita di nulla per essere e continuare ad essere. Grazie.

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